Libero Grassi ebbe il coraggio
di pubblicare una lettera “al Caro estortore” sul Giornale di Sicilia il 10
gennaio del 1991. Si espose
ulteriormente con la sua partecipazione a trasmissioni televisive come
“Samarcanda” dove amplificò ulteriormente le sue denunce, invitando anche altri
imprenditori a ribellarsi alla mafia. Ecco il testo della lettera apparsa sul
Giornale di Sicilia.
“Caro estortore,
volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere… Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al “Geometra Anzalone” e diremo no a tutti quelli come lui.“
volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere… Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al “Geometra Anzalone” e diremo no a tutti quelli come lui.“
Il giorno dopo la sua morte,
sulle pagine Corriere della Sera apparve una nuova lettere di Libero
Grassi:
“La “Sigma” è un’azienda sana,
a conduzione familiare. Da anni produciamo biancheria da uomo: pigiami, boxer,
slip e vestaglie di target medio-alto che esportiamo in tutta Europa. Abbiamo
100 addetti: 90 donne e 10 uomini. Il nostro giro d’affari è pari a 7 miliardi
annui. Evidentemente è stato proprio l’ottimo stato di salute dell’impresa ad
attirare la loro attenzione. La prima volta mi chiesero i soldi per i “poveri
amici carcerati”, i “picciotti chiusi all’Ucciardone”. Quello fu il primissimo
contatto. Dissi subito di no. Mi rifiutai di pagare. Così iniziarono le
telefonate minatorie: “Attento al magazzino”, “guardati tuo figlio”, “attento a
te”. Il mio interlocutore si presentava come il geometra Anzalone, voleva
parlare con me. Gli risposi di non disturbarsi a telefonare. Minacciava di
incendiare il laboratorio. Non avendo intenzione di pagare una tangente alla
mafia, decisi di denunciarli.
Il 10 gennaio 1991 scrissi una lettera al “Giornale di Sicilia” che iniziava così: “Caro estortore…”.
La mattina successiva qui in fabbrica c’erano dei carabinieri, dieci televisioni e un mucchio di giornalisti. A polizia e carabinieri consegnai 4 chiavi dell’azienda chiedendo loro protezione. Mentre la fabbrica era sorvegliata dalla polizia entrarono due tipi strani. Dissero di essere “ispettori di sanità”. Fuori però c’era l’auto della polizia e avevano grande premura. Volevano parlare a tutti i costi con il titolare. Scesi e dissi loro che il titolare riceve solo per appuntamento e al momento era impegnato in una riunione. Se ne andarono. Li descrissi alla polizia e loro si accorsero che altri imprenditori avevano fornito le medesime descrizioni. Gli esattori del “pizzo”, i due che indifferentemente si facevano chiamare geometra Anzalone, altri non erano che i fratelli gemelli Antonio e Gaetano Avitabile, 26 anni. Furono arrestati il 19 marzo insieme ad un complice. Una bella soddisfazione per me, ma anche qualche delusione; il presidente provinciale dell’Associazione industriali, Salvatore Cozzo, dichiarò che avevo fatto troppo chiasso. Una “tamurriata” come si dice qui. E questo, detto dal rappresentante della Confindustria palermitana, mi ha ferito. Infatti dovrebbero essere proprio le associazioni a proteggere gli imprenditori. Come? È facile. Si potrebbero fare delle assicurazioni collettive. Così, anche se la mafia minaccia di dar fuoco al magazzino si può rispondere picche.
Il 10 gennaio 1991 scrissi una lettera al “Giornale di Sicilia” che iniziava così: “Caro estortore…”.
La mattina successiva qui in fabbrica c’erano dei carabinieri, dieci televisioni e un mucchio di giornalisti. A polizia e carabinieri consegnai 4 chiavi dell’azienda chiedendo loro protezione. Mentre la fabbrica era sorvegliata dalla polizia entrarono due tipi strani. Dissero di essere “ispettori di sanità”. Fuori però c’era l’auto della polizia e avevano grande premura. Volevano parlare a tutti i costi con il titolare. Scesi e dissi loro che il titolare riceve solo per appuntamento e al momento era impegnato in una riunione. Se ne andarono. Li descrissi alla polizia e loro si accorsero che altri imprenditori avevano fornito le medesime descrizioni. Gli esattori del “pizzo”, i due che indifferentemente si facevano chiamare geometra Anzalone, altri non erano che i fratelli gemelli Antonio e Gaetano Avitabile, 26 anni. Furono arrestati il 19 marzo insieme ad un complice. Una bella soddisfazione per me, ma anche qualche delusione; il presidente provinciale dell’Associazione industriali, Salvatore Cozzo, dichiarò che avevo fatto troppo chiasso. Una “tamurriata” come si dice qui. E questo, detto dal rappresentante della Confindustria palermitana, mi ha ferito. Infatti dovrebbero essere proprio le associazioni a proteggere gli imprenditori. Come? È facile. Si potrebbero fare delle assicurazioni collettive. Così, anche se la mafia minaccia di dar fuoco al magazzino si può rispondere picche.
Ma anche a queste mie proposte
il direttore dell’Associazione industriali di Palermo, dottor Viola, ha detto
no, sostenendo che costerebbe troppo. Non credo però si tratti di un problema
finanziario, è necessaria una volontà politica. L’unico sostegno alla mia
azione, a parte le forze di polizia, è venuta dalla Confesercenti palermitana.
Devo dire di aver molto apprezzato l’iniziativa SoS Commercio che va nella
stessa direzione della mia denuncia. Spero solo
che la mia denuncia abbia dimostrato ad altri imprenditori siciliani che ci si
può ribellare. Non ho mai avuto paura ed ora mi sento garantito da ciò che ho
fatto. La decisione scandalosa del giudice istruttore di Catania, Luigi Russo
(del 4 aprile 1991) che ha stabilito con una sentenza che non è reato pagare la
“protezione” ai boss mafiosi, è sconvolgente. In questo modo infatti è stato
legittimato con il verdetto dello Stato il pagamento delle tangenti. Così come
la resa delle istituzioni e le collusioni. Proprio ora che qualcosa si stava
muovendo per il verso giusto. Stabilire che in Sicilia non è reato pagare la
mafia è ancora più scandaloso delle scarcerazioni dei boss. Ormai nessuno è più
colpevole di niente. Anzi, la sentenza del giudice Russo suggerisce agli
imprenditori un vero e proprio modello di comportamento; e cioè, pagate i
mafiosi. E quelli che come me hanno invece cercato di ribellarsi? Ora più che
mai le Associazioni imprenditoriali che non si impegnano sinceramente su questo
fronte vanno messe con le spalle al muro. La risposta infatti deve essere
collettiva per spersonalizzare al massimo la vicenda.
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