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mercoledì 30 novembre 2011

FAMILIARI VITTIME VIA GEORGOFILI: "RIPRISTINARE 41BIS AI GRAVIANO"

 «I nostri vivi complimenti alla procura distrettuale antimafia di Palermo e a quanti ogni giorno ci mettono nelle condizioni di comprendere le possibilità infinite di Cosa Nostra. Alla luce delle nuove indagini e delle rivelazioni su Nunzia Graviano sorella dei boss di Brancaccio Giuseppe e Filippo Graviano stragisti in via dei Georgofili, vorremmo sapere se la sorella Nunzia poteva incontrare tranquillamente i due fratelli e scambiare con loro vedute».

 Lo scrive in una nota Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell'Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili. «Del resto - prosegue - il 41 bis di Giuseppe Graviano è stato depauperato dell'isolamento diurno come norma vuole, infatti può socializzare durante il giorno con altri carcerati; e con i parenti più stretti come sarà? Non crediamo che Giuseppe e Filippo non fossero a conoscenza dell'attività della sorella nel mandamento di Brancaccio. Più forte che mai chiediamo una norma più consona ai mafiosi non collaboranti con la giustizia come Giuseppe Graviano».

«Gaspare Spatuzza nel processo Tagliavia che ci riguarda molto da vicino, visto che della morte dei nostri figli si tratta - afferma la Maggiani Chelli - ha parlato di un incontro al Bar Doney a Roma nel 1994 con Giuseppe Graviano che gli avrebbe detto 'i morti di Firenze ci sono serviti a fare politicà. Siamo stanchi e terribilmente nauseati dalle continue scoperte che gli inquirenti fanno sul conto della famiglia Graviano di Brancaccio. Sia ripristinato il 41 bis con isolamento diurno a Giuseppe e Filippo Graviano affinchè non possano trasmettere messaggi all'esterno sia a parenti, altrettanto mafiosi, come a probabili uomini delle istituzioni più che deviati».

domenica 27 novembre 2011

DON CIOTTI:" RIPRISTINARE FONDO SOLIDARIETÀ VITTIME MAFIA, USURA E RACKET"

C'è anche il taglio del fondi per le vittime della mafia, dell'usura e del racket tra i tanti provvedimenti adottati dal precedente governo di Silvio Berlusconi.  Ora è don Luigi Ciotti, presidente di Libera, ad alzare la voce per ripristinare il fondo e lo fa  da «politicamente scorretto», la rassegna promossa da Casalecchio delle Culture in collaborazione con Carlo Lucarelli, che proprio in questi giorni a Casalecchio di Reno (Bologna) chiama a raccolta da tutta Italia magistrati, testimoni, giornalisti, pubblici amministratori, artisti per una risposta alle mafie con le «armi» della cultura.

 «La lotta alle mafie - si legge nell'appello - dovrebbe essere considerata una delle priorità dell'azione di qualunque governo di questo paese. Il prezzo che l'Italia paga alla criminalità organizzata in termini civili, morali, politici ed economici è tale da rappresentare uno degli ostacoli principali al nostro sviluppo. Per questo ogni sforzo impiegato a contrastare le mafie non deve essere considerato un costo quanto un investimento, ancora più urgente e importante proprio in un periodo di ristrettezze e di riforme. Il Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive e dell'usura rappresenta non solo il doveroso intervento dello Stato a fianco di cittadini che già hanno sofferto e spesso contrastato la criminalità organizzata, ma anche uno degli strumenti più efficaci per combatterla. Il ddl di stabilità ha invece ridotto di ben 10 milioni di euro il Fondo, che scender… dagli oltre 12 milioni inizialmente previsti per il 2012 a poco più di 2 milioni di euro».

Tra i primi firmatari, Pina Maisano Grassi, Gian Carlo Caselli, Nando Dalla Chiesa.

sabato 26 novembre 2011

L'AUTO DI GIANCARLO SIANI DONATA ALLA CITTA' DI NAPOLI. RIVIVE COME UN MONUMENTO, AL VOMERO

La Mehari, l'auto di Giancarlo Siani, il giornalista ucciso dalla camorra il 23 settembre del 1985, è stata donata alla città di Napoli. Ora sarà "esposta" al centro del monumento che sorgerà nella rotonda di via Caldieri a Napoli. L'area rappresenta anche un simbolo: sorge, infatti, al Vomero nel quartiere collinare che ha visto tre morti innocenti della camorra. L'auto nella quale fu trovato morto il giornalista de Il Mattino, fu venduta all'asta dopo la sua morte. Finì in Sicilia e ritrovata per cosa, venne utilizzata da Marco Risi nel film "Fortapasc". Oggi è stata portata nel luogo dove sorgerà il monumento e con il sindaco, Luigi de Magistris, il presidente della Municipalità, Mario Coppeto anche il fratello di Siani, Paolo e il marito di Silvia Ruotolo, altra vittima innocente della camorra. L'area si chiamerà «rotonda della legalità», e sarà un luogo simbolo per ricordare anche Silvia Ruotolo e Salvatore Buglione, il dipendente comunale ucciso davanti all'edicola della moglie, proprio al Vomero. La cooperativa 'Parco dei fiorì che, nella zona, sta costruendo alcuni parcheggi di pertinenza, ha realizzato la rotonda. «È un bel giorno perchè questa è una iniziativa fortemente voluta dalla comunità e, soprattutto, rappresenta un simbolo importante - ha detto il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris - in questo modo si tiene viva la memoria di chi è stato ucciso da un male che dobbiamo e possiamo sconfiggere, la camorra». Paolo Siani ha sottolineato che vedere l'auto nella quale fu trovato morto Giancarlo, «è una sofferenza, ma la speranza che questi simboli siano da stimolo e speranza per il futuro, trasforma tutto in positivo».

domenica 20 novembre 2011

STRAGE GEORGOFILI: "HANNO FATTO POLITICA SUI NOSTRI MORTI"

"Se mai ce ne fosse stato bisogno dopo la lettera dei “familiari dei carcerati” alle massime autorità dello Stato datata  febbraio 1993,  ecco resa pubblica la lettera che il Dr. Adalberto Capriotti, il direttore dell’Ammnistrazione penitenziaria al tempo delle stragi del 1993, ovvero  la lettera che  il capo del DAP  ha scritto al Capo di Gabinetto del Signor Ministro il 26 Giugno 1993.
Verrebbe da piangere se non fosse che siamo troppo infuriati!
Infatti il 26 Giugno del 1993 dopo la terribile strage di via dei Georgofili del 27 Maggio 1993, si è pensato bene di ammorbidire il 41 bis alla mafia.
Come dobbiamo leggere tutto ciò? Un regalo alla mafia per averci ammazzato i figli!
Altro che fermare le stragi visto che le stragi c’erano già state!
Allora è vero? Come ha detto Giuseppe Graviano a Gaspare Spatuzza: Caterina, Nadia, Dario, Angela e Fabrizio da morti servivano a fare politica.
Al processo Tagliavia, l’ultimo mafioso condannato per la strage di via dei Georgofili, non abbiamo potuto ascoltare il Dr. Capriotti, forse perché questa lettera del 26 Giugno 1993 a un mese dalla strage di via dei Georgofili, lettera con la quale si apriva ai desiderata della mafia non era nota alla Corte?
Cosa abbiamo fatto di male per meritare tutto ciò?
Eravamo nel posto sbagliato, nel momento sbagliato mentre la trattativa tra Stato e Mafia era in corso: è questa la NOSTRA COLPA?
Si riaprano al più presto i Tribunali della verità e della giustizia completa per le vittime di via dei Georgofili o scenderemo in Piazza.
Cordiali saluti"

Giovanna Maggiani Chelli
Presidente Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili

giovedì 17 novembre 2011

PROPOSTA DI LEGGE A FAVORE FAMILIARI VITTIME PRESENTATA IN CONSIGLIO REGIONALE CAMPANIA DA DANIELA NUGNES (PDL)

 Una proposta di legge regionale a favore dei familiari di vittime della criminalità, è stata presentata al Consiglio Regionale della Campania, dalla consigliera Pdl, Daniela Nugnes. L'intento della proposta di legge è quello di agevolare i familiari delle vittime di camorra dal punto di vista lavorativo, riconoscendo loro tale sacrificio quanto meno in termini di dignità occupazionale. ''Questa legge oltre ad avere un valore etico fondamentale nel riconoscere il grande tributo versato dalle famiglie delle vittime di camorra - dice con soddisfazione Nugnes - colma un gap sostanziale in termini giuridici consentendo a coloro i quali beneficeranno di questo provvedimento di ambire a posizioni elevate nella pubblica amministrazione. Credo, conclude l'esponente della maggioranza Caldoro, che questo provvedimento ponga finalmente le basi di un giusto riconoscimento da parte dello stato nei confronti di chi ha dato la vita per una giusta causa''.

(Fonte: ANSA).

mercoledì 16 novembre 2011

SCAMBIATO PER UN BOSS. MARIO FERRILLO, IMPRESARIO TEATRALE, UCCISO A LICOLA IL 16 NOVEMBRE 1986


“Questa è una rapina”. La porta si apre all’improvviso e una voce minacciosa interrompe la tranquilla chiacchierata di Mario e Francesco nel piccolo locale a piano terra adibito a negozio di parrucchiere, proprio nella piazza Cristofaro Colombo, a Licola Mare, sul litorale domizio. E’ il tardo pomeriggio del 16 novembre 1986. Entrano due ragazzi incappucciati e armati di pistole.  Dentro ci sono Francesco  Sepe, il titolare, e Mario Ferrillo, un impresario teatrale, che ha accompagnato la moglie a farsi i capelli e che era uscita solo pochi attimi prima dal negozio. “Sei tu Gennaro?”, grida in faccia a Mario il giovane che è entrato per primo, mentre gli punta la pistola al viso. Mario si alza in piedi impietrito. Non riesce a dire una parola. Per lui è una situazione inaspettata, mai vissuta prima. Ma anche se avesse voluto rispondere, non gli lasciano il tempo di farlo. Parla per prima la pistola: Otto colpi in rapida successione partono in direzione di Mario Ferrillo. Vanno tutti a segno. Cade a terra. Un tonfo sordo. Ha gli occhi sbarrati. Muore subito. Dal corpo comincia a scorrere sul pavimento sangue vivo. Il parrucchiere, invece, ha la prontezza di nascondersi sotto un tavolo. Ma sa che anche per lui non ci sarò scampo. Cerca un riparo. Svicola carponi nel bagno. Da un momento all’altro aspetta di udire i colpi di pistola che stavolta sono destinati a lui. Sono attimi interminabili. Vuole gridare, ma non riesce a farlo. La paura  gli blocca la voce. Sente il cuore battere come un tamburo. Ecco, sono dietro… si avvicinano… stanno per sparare… Il parrucchiere è quasi morto dalla paura, aspetta solo di sentire il rumore dei colpi di pistola che lo finiranno. Ma non accade niente. I due giovani fuggono di corsa dal locale. Quando si rende conto che i giovani sono spariti, esce dal bagno e comincia a gridare aiuto. Guadagna l’uscita. Ma in strada non c’è proprio nessuno. La scena si consuma in meno di due minuti. Mario Ferrillo, invece, non si muove più. Resta a terra in una pozza di sangue, immobile, senza vita. Per l’impresario teatrale originario di Calvizzano, non c’è più niente da fare. Quella non era una rapina. Erano venuti per ammazzare. Una spedizione mirata. Un agguato premeditato. 

 Le prime notizie che uscirono sul delitto, accreditarono la tesi che Mario Ferrillo non avrebbe pagato tangenti alla camorra per le feste di piazza che organizzava.

 “In realtà quel giorno al posto di mio padre – dice Luigi, il figlio primogenito -  cercavano Gennaro Troise, conosciuto col  soprannome “la Tromba”.  Somigliava a mio padre in maniera impressionante”. Gennaro Troise fu ammazzato circa un mese dopo.
  
“Da quando Mario è stato ucciso - racconta la moglie, Maria Rosaria -  siamo rimasti soli con la nostra tragedia e il nostro dolore. Ma non avevo il tempo di abbattermi. Avevo quattro figli da mantenere e andavo avanti grazie al mio lavoro di inserviente in una clinica privata. Lavoravo anche con i turni di notte per portare a casa qualche soldo in più. Poi volli andare a parlare col magistrato che seguiva il caso. Volevo almeno giustizia. Ma il processo si risolse in niente. Non c’erano imputati. Il giudice chiuse tutto in pochi minuti. E io non sapevo capacitarmi. Così mi alzai e gli dissi: “Scusate ma io tengo quattro figli a casa, e a me  mio marito chi me lo ripaga? Chi me lo ridà?” Volevo giustizia, non soldi. Volevo una risposta dallo Stato. “Il giudice – rispose  – signora questa è una causa contro ignoti. Se suo marito fosse caduto da un’impalcatura o fosse morto sotto una macchina, lo Stato lo avrebbe pagato. Siccome tutto questo non è successo…” Si piegò nelle spalle e se ne andò. Come per dire “Non glielo ripaga nessuno”. Me ne andai mortificata. “Ma come?  -  dicevo tra me e me -  ma qui è morta una persona com’è che nessuno se ne interessa? Mi sembrava tutto così strano.  E’ come se fosse passata una nuvola nera. E passata,  e poi è uscito il sole. Non è successo niente. E più ci pensavo e più mi sembrava un sogno – dice  Maria Rosaria  con la  voce che diventa roca, e come se si fermasse in gola. Deglutisce per rabbia -   Come non è successo niente? Qui è morto mio marito, il padre dei miei quattro figli. Avevo quattro figli da mantenere e andavo avanti grazie al mio lavoro di inserviente in una clinica privata. Non avevo neanche i soldi per pagare il funerale. Per sotterrare mio marito ho dovuto fare il prestito sulla busta paga. Da allora nessuno più mi ha chiamata. Mio marito è come se non fosse mai esistito per gli altri. Sparito nel nulla quel giorno di novembre di tanti anni fa. 

Per gli assassini di Mario, non c’è stato nessun processo. Gli autori del delitto sono ignoti. Nonostante ciò, Maria Rosaria è serena. Come può essere serena una mamma sola, una donna rimasta vedova a 40 anni. A tratti vorrebbe piangere. Gli occhi si inumidiscono. Ma trattiene le lacrime o,  forse, non ne ha più perché le ha già versate tutte.



martedì 15 novembre 2011

IL PAPA DI ANNALISA DURANTE A MASSIMO RANIERI: "VIENI A FORCELLA PER I RAGAZZI DEL QUARTIERE"

Giovanni Durante, il papà di Annalisa, la 14enne rimasta vittima innocente di un agguato di camorra,  lo ha promesso a se stesso: "Voglio contribuire a cambiare questo quartiere" Il suo scopo  è quello di fare in modo che Forcella sia una quartiere «vivo, che non vuole e non deve morire».  Perciò si è rivolto agli artisti napoletani ed in prima battuta a  Massimo Ranieri, affinchè prima di Natale diano vita ad una sorta di spettacolo per i ragazzi ed i cui proventi vadano in beneficenza.

. «Se faccio tutto questo è perchè non voglio che il ricordo di mia figlia scompaia - spiega - e perchè c'è bisogno che i ragazzi di questo e di altri quartieri sappiano che ce la possono e ce la devono fare». È per tutto questo che Giovanni Durante, nel cuore di Forcella ha riprodotto due tra i più celebri lavori di Eduardo. Così, nel cuore della città, Eduardo, grandezza naturale ed in cartapesta, è seduto al balcone con accanto una sedia su cui sono poggiate caffettiera napoletana con tanto di 'coppetiellò, tazzine e zuccheriera come nella commedia 'Questi Fantasmì. L'unica differenza che questa volta il 'maestrò guarda Forcella. Poco più in là, invece, sono posizionati il presepe con accanto il barattolo di colla ed il pennello, il lettino singolo, il vaso da notte e il più classico dei bacili con specchiera annessa per riprodurre la scena più celebre di 'Natale in casa Cupiellò. Il tutto a 'piazza Forcella: il centro delle opportunita«, lì dove prima c'era il 'regnò della famiglia Giuliano.

Piazza Forcella, la struttura dedicata ad Annalisa Durante, è una delle strutture territoriali destinate a potenziare la rete degli incubatori per la nascita di nuove imprese, in particolare quelle fatte nascere dai giovani. Si definisce così una rete cittadina di incubatori: Città della Scienza e Napoli-Est, per la promozione di imprese innovative e creative, Forcella, rivolta in particolare ai giovani. Al momento sono 10 le persone che vi lavorano in turni, anche notturni, per vigilare. Nell'ex supercinema Giovanni Durante, il papà di Annalisa, la quattordicenne rimasta vittima di una sparatoria, prima ha dato vita ad una mostra fotografica che racconta la storia del quartiere e poi si è inventato la riproduzione dei due lavori di Eduardo. »Da quando abbiamo aperto questa mostra - ha detto orgogliosamente Giovanni - sono migliaia i turisti che l'hanno visitata e lo si può vedere anche dai commenti lasciati sui libri che sono all'ingresso. Cinesi, francesi, tedeschi, americani ma anche italiani e soprattutto napoletani che riscoprono un quartiere con non vuole e non deve morire«.

PSICOLOGI A SOSTEGNO A FAMILIARI VITTIME. PROTOCOLLO D'INTESA SOTTOSCRITTO DALLA FONDAZIONE POLIS

Un protocollo d'intesa è stato tra la Fondazione Polis e l'Ordine degli psicologi della Campania con l'obiettivo di sostenere i familiari delle vittime innocenti della criminalità. L'intesa prevede il sostegno, da parte di psicologi volontari, ai familiari attraverso cure psicologiche immediate e la successiva gestione dei sintomi legati allo stress a al trauma. «La firma di questo protocollo - ha affermato il presidente della fondazione Polis, Paolo Siani - vuole non solo sostiene i familiari delle vittime innocenti nell'affrontare la tragedia, ma vuole essere anche un segnale di schieramento, dell'esistenza di un'intera squadra che si adopera per realizzare un percorso sociale e umano».

La Campania, come ricordato da Siani, è la regione con il più alto numero di vittime innocenti della criminalità: 150 quelle accertate cui se ne aggiungono altre 100 in fase di istruttoria. Un dato sottolineato dal presidente Siani che, tuttavia, ha puntato l'accento sul primato positivo della regione affermando che «la Campania è la prima regione che sta facendo negli ultimi due, tre anni, un lavoro strabiliante di sostegno alle famiglie delle vittime, di cui - ha aggiunto - va dato atto al presidente della Regione Caldoro». L'aiuto degli psicologi non sarà rivolto soltanto ai familiari delle vittime, ma anche all' intera collettività e ai volontari della Fondazione Polis per potersi meglio approcciare a chi ha subito una perdita violenta a causa della criminalità. «Il nostro - ha detto il presidente dell'Ordine degli psicologi campani, Raffaele Felaco - è un passo di vicinanza ed è il senso della responsabilità social e che noi psicologi sentiamo verso la nostra collettività».

Il protocollo ha durata triennale e sarà tacitamente rinnovato alla scadenza. Dall'assessore regionale agli Enti locali Pasquale Sommese è stata sottolineata l'assenza «nell'attuale legislazione di interventi e di tutela giuridica per le vittime della criminalità comune, motivo per cui - ha spiegato Sommese - la Giunta regionale ha impegnato la Fondazione Polis a realizzare tutte le iniziative possibili per col mare questa lacuna normativa perchè - ha concluso l'assessore - è necessario allargare sempre più il nostro interesse e sostegno ai familiari di tutte le vittime, siano esse della criminalità comune o camorristica». L'esponente della giunta regionale, ha inoltre, evidenziato l'importanza dell'accordo siglato oggi in quanto «momento fondamentale nell'ambito delle politiche dell'ente regionale di tutela delle vittime innocenti e delle loro famiglie». Annunciata, per i prossimi giorni, la firma di un altro protocollo con l'Ordine regionale dei commercialisti per l'assistenza fiscale ai familiari e una collaborazione con il Comitato unitario delle professioni per stipulare intese con tutti gli Ordini professionali campani.

(Fonte: ANSA).

giovedì 10 novembre 2011

PREGIUDICATO SI AUTOACCUSA DELL'OMICIDIO DI SIMONETTA LAMBERTI

Un pregiudicato di Nocera Inferiore (Salerno), dopo 29 anni, si autoaccusa dell'omicidio di Simonetta Lamberti, la figlia del giudice Alfonso Lamberti, all'epoca procuratore a Sala Consilina, nel Salernitano, assassinata il 29 maggio del 1982 a Cava de Tirreni, mentre era in auto col padre. Lo rivela il quotidiano «Metropolis», in edicola oggi, che per domani annuncia anche altre rivelazioni. Secondo il quotidiano, infatti, davanti al procuratore Vincenzo Montemurro un anziano pregiudicato del Nocerino avrebbe raccontato nuovi retroscena di quel delitto che sconvolse l'Italia intera.

Simonetta quel giorno era andata al mare col suo papà a Vietri sul mare. Al ritorno, erano circa le 16,30, gli assassini li stavano aspettando a Cava de' Tirreni. All’incrocio tra via Libertà e via della Repubblica un’Audi affianca la Bmw del magistrato. È un attimo. Dalla macchina sparano otto colpi con una pistola P38. Due arrivano a segno. Colpiscono il papà di Simonetta, Alfonso Lamberti alla spalla destra e alla testa. Ma uno dei proiettili rimbalza e colpisce Simonetta proprio alla testa. La bambina è ancora appisolata e non s’accorge di cosa accade in quei momenti attorno alla Bmw. L’Audi sgomma e sparisce a tutta velocità. La Bmw è ferma. Accorre gente. La macchina è piena di sangue. È il sangue di Simonetta e del suo papà. La bambina viene soccorsa e portata in ospedale. Morirà poco dopo.

Dei suoi assassini non si è saputo mai niente. Ora si potrebbe aprire uno spiraglio per avere finalmente giustizia per Simonetta e per i suoi familiari.

martedì 8 novembre 2011

IN RICORDO DEL PADRE, GIUSEPPE MASCOLO, DEVOLVE L'INDENNITA' PER LE VITTIME INNOCENTI PER BORSE DI STUDIO

Luigi Mascolo e la prof.ssa Angela Piccinini
Il padre fu ucciso dalla camorra nel 1988 perché si rifiutava di pagare il pizzo. Ora il figlio mette a disposizione l’indennità che lo Stato gli ha riconosciuto quale familiare di vittima innocente della criminalità, per una borsa di studio a favore di studenti delle scuole superiori di Sessa Aurunca.

Luigi Mascolo, farmacista di Cellole, quarantasette anni, non se l’è fatto ripetere due volte quando la Fondazione Intercultura gli chiesto di mettere a disposizione un fondo per dare possibilità ad alcuni studenti di studiare all’estero. Ha posto solo una condizione: quella di intitolare la borsa di studio al padre, Giuseppe, per ricordare una vittima della camorra e contribuire in questo modo ad affermare una cultura della legalità.

 “Ho pensato alle possibilità che non hanno avuto tanti giovani di questo territorio di guardare al futuro in maniera diversa – dice Luigi Mascolo -  Perciò non mi sono tirato indietro. Se ai giovani venisse offerta qualche occasione in più per spiccare il volo, molte cose anche qui sarebbero andate in altro modo”. La vicenda di Giuseppe Mascolo per anni è stata sepolta sotto una coltre di silenzio che ha alimentato anche  voci incontrollate sul suo conto. E quando i motivi di quella morte non vengono subito a galla, è facile mettere dalla parte dei carnefici anche le vittime innocenti. Poi, dopo molti anni arriva un collaboratore di giustizia e un giudice caparbio, come  Raffaele Cantone e il velo di omertà e di silenzio si squarcia.

 L’omicidio fu un errore dei suoi estortori. Volevano solo intimidirlo. La squadretta di malavitosi inviata da Alberto Beneduce, il boss dei casalesi per la zona di Baia Domizia, aveva ricevuto ordini stato categorici: “Il farmacista deve pagare. Non voglio sentire ragioni”. Ma il loro obiettivo era anche quello di appropriarsi di un terreno a Baia Domizia che era rientrato tra quelli edificabili nel nuovo Piano Regolatore. Lo volevano a tutti i costi. Il 20 di settembre del 1988, Giuseppe Mascolo aveva appena chiusa la farmacia a Cellole e si era avviato a casa insieme al figlio, ma su due auto diverse. Avevano fatto un tratto di strada assieme, e Luigi, che all’epoca  aveva 24 anni, girò per andare alla Guardia Medica. Pochi minuti e tornò indietro, perché la trovò chiusa. A Baia Domizia, dal vialetto della sua abitazione vide uscire di corsa in retromarcia un’auto. “Sono i ladri”, Pensò Luigi. Istintivamente li seguì prendendo anche il numero di targa. Non riuscì a raggiungerli, ma si recò immediatamente dai Carabinieri per denunciare l’accaduto, convinto che avessero rubato qualcosa nell’abitazione. Quando tornò a casa non si rese conto subito che il padre non c’era e chiese alla mamma. “Ho sentito un urto e un botto, ma non vedo tuo padre…” Luigi non aspettò di sentire altre parole. Corse verso l’auto del padre e lo trovò riverso sui sedili anteriori. Era già morto. Gli avevano sparato un colpo solo. La verità sulla morte di Giuseppe Mascolo è venuta a galla nel processo dove alcuni collaboratori e testimoni di giustizia hanno detto chiaramente che Giuseppe Mascolo è una vittima innocente. Si era rifiutato di scendere a patti con la camorra.

La convenzione tra la Fondazione Intercultura e Luigi Mascolo, a cui ha dato il  patrocinio il  Comune di Sessa Aurunca, verrà presentata mercoledì 9 novembre  alle ore 9.45 presso il Salone dei Quadri della Città di Sessa Aurunca (CE).

lunedì 7 novembre 2011

MIMMO BENEVENTANO, IL MEDICO, POETA E COMUNISTA, CHE PIACEVA ALLA GENTE

Mimmo Beneventano, un dolcissimo ragazzone di 32 anni, venne ammazzato a Ottaviano 31 anni fa, mentre usciva di casa per andare al lavoro. Era uno di quei ragazzi che aveva scelto l'impegno politico come prolungamento dell'impegno civile per cambiare i luoghi in cui viveva. Venne ucciso perché contrastava il radicamento della camorra legata a raffaele Cutolo che proprio a Ottaviano aveva la sua base più forte.

Qui di seguito il ricordo di Mimmo Beneventano tratto dal mio libro "Al di là della notte". Ed. Tullio Pironti

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Io lotto e mi ribello…
nessuno lasci il suo posto,
per ascoltare il mio canto del cigno
a nessuno voglio sottrarre tempo.
Fate solo un cenno con gli occhi.
Mi sentirò più forte e non soltanto illuso.

Sono i versi di una poesia di Domenico Beneventano, “Mimmo”, consigliere comunale del Partito comunista a Ottaviano, ammazzato dalla camorra di Raffaele Cutolo la mattina del 7 novembre del 1980. Mimmo non si era piegato alla volontà criminale dei clan che volevano cementificare un territorio
tra i più belli dell’intera Campania. È stato vittima della violenza camorristica in una stagione di morte e di terrore che la Nuova Camorra Organizzata aveva cominciato da qualche anno contro tutti coloro che non si asservivano al volere e al potere del capo indiscusso, Raffaele Cutolo. Aveva trentadue anni Mimmo quando è stato ammazzato. Era nato a Petina, in provincia di Salerno. La famiglia era originaria della Lucania. Anche Mimmo non aveva voluto spezzare le sue radici. Era molto legato alla Lucania e in particolare a Sasso di Castalda, dove era impegnato politicamente e socialmente. Arrivò a Ottaviano nel 1964 per seguire il padre impiegato del corpo forestale.

Si era laureato in Medicina con la specializzazione in Medicina e Chirurgia. Faceva il medico di base a Ottaviano e il chirurgo presso l’ospedale San Gennaro di Napoli. In paese lo conoscono tutti quel «medico buono» con la passione per la poesia e per la musica. La sua scelta di campo Mimmo l’ha già fatta da ragazzo: a fianco dei più deboli. La sua casa, come il suo studio medico, sono sempre aperti. Giorno e notte, chiunque lo chiami ha la sua disponibilità. Da ragazzo frequentava la parrocchia. Poi arriva anche l’impegno politico. Si iscrive al Pci e diventa consigliere comunale del Partito comunista italiano per la prima volta nel maggio del 1975. Verrà confermato anche nelle elezioni del giugno del 1980. La politica per Mimmo è il prolungamento del suo impegno civile a fianco delle persone che hanno bisogno più di altri: i poveri. Le sue battaglie in consiglio comunale le fa per la difesa del territorio.

Denuncerà soprattutto gli affari che il partito del cemento tenterà di portare a termine nell’area protetta del costituendo Parco del Vesuvio. Un rapporto tra politica e camorra che diventerà ancora più forte dopo il terremoto del 23 novembre 1980 che colpirà i paesi della Campania e della Basilicata.

(...) Mimmo viaggiava in una Simca 1000, un’auto molto popolare negli anni ’80. Ed è a fianco di quell’auto che lasceranno il suo corpo senza vita i sicari della camorra. Lo ammazzeranno alle prime luci dell’alba la mattina del 7 novembre 1980, proprio mentre si stava avviando al lavoro. I killer lo attendono sotto la sua abitazione alla periferia di Ottaviano. Mimmo non è sposato, vive con i genitori. Mimmo è un abitudinario. Esce sempre alla stessa ora per andare all’ospedale San Gennaro di Napoli. Non è difficile tendergli un agguato. La pianificazione della morte di Domenico Beneventano era avvenuta molto tempo prima. L’auto dei killer, una 128 di colore blu elettrico, era stata rubata ad Angri il 23 ottobre dell’80. La troveranno incendiata subito dopo il delitto.

La mamma, Dora, come sempre, anche quella mattina lo segue con lo sguardo dalla finestra della sua abitazione mentre si avvia al lavoro. Agita la mano per salutarlo prima di vederlo salire in auto. Non sa ancora che sarà l’ultima volta che assisterà a quella scena. Pochi altri passi e il consigliere comunale comunista si avvicina alla sua Simca 1000. È ora che entrano in azione i killer. Cominciano a sparare immediatamente. Non riesce a scappare, a ripararsi da qualche parte. Non ha scampo. Si accascia a terra. La mamma è testimone di tutta la scena. Incredula, urla, chiama il figlio per nome. Chiama il marito che è ancora a letto. Strilla: «Mimmo! Mimmo! Aiuto! Aiuto! Che gli state facendo? Me lo state ammazzando!». Ma a quell’ora e alla periferia della città la voce di Dora si perde nell’aria. Il suo grido di dolore lo ascoltano in pochi. Quasi nessuno si affaccia. La disperazione prende il sopravvento. Dora scende in strada ancora in pigiama. Con lei il marito, Donato Beneventano. Mimmo è in una pozza di sangue. Il «medico dei poveri» è morto. La camorra ha eliminato un altro che non aveva capito chi veramente comanda in questo territorio. Non andrà più in ospedale. Non andrà più a visitare i suoi pazienti. Nessuno lo cercherà anche di notte a casa perché ha urgente bisogno di un medico.

Nessuno ha mai pagato per la morte di Mimmo Beneventano. Giovanni Marino, cronista di «la Repubblica», lo ricorda in un articolo dell’11 novembre 2000: «Si preannunciava una stagione di sangue, prima del terremoto dell’Ottanta. Venti anni fa, il 7 di novembre, veniva ucciso dalla camorra il consigliere comunale del Pci a Ottaviano, Mimmo Beneventano. Pagava per il suo impegno politico per la legalità. Un delitto eccellente ingiustamente dimenticato per cui nessuno ha poi scontato una condanna. Mandanti ed esecutori sono rimasti avvolti fra i segreti di una camorra che non esiste più, la Nco di Raffaele Cutolo.

Il terremoto che seguì, portò con sé una nuova strategia camorristica. Nacque la camorra imprenditrice, abile a tessere rapporti con la politica, a strutturarsi come una azienda. Esplose la guerra fra Nuova Famiglia e Nco. Avrebbe vinto la prima fazione, forte di questa nuova strategia, di inediti e misteriosi rapporti con colletti bianchi».

Io lotto e mi ribello…
nessuno lasci il suo posto…
scriveva Mimmo in una sua poesia.

Molti non l’hanno lasciato quel posto. La sua morte darà vita ad un forte movimento anticamorra soprattutto tra gli studenti. Da quel movimento nascerà una nuova consapevolezza e una nuova stagione politica. La lotta contro la camorra sarà uno degli elementi discriminanti della politica degli anni ’80 e ’90. Il corpo di Mimmo Beneventano è sepolto a Sasso di Castalda, in provincia di Potenza. Ora lo ricordano anche lì ogni anno, come a Ottaviano, dove è nata anche un Fondazione che porta il suo nome.

domenica 6 novembre 2011

PAGANI. MARCELLO TORRE SI STA RIVOLTANDO NELLA TOMBA

Hanno trovato la cappella chiusa gli amministratori di Pagani, sindaco facente funzioni in testa, quando il 2 novembre hanno tentato di deporre una corona di alloro davanti alla tomba di Marcello Torre, il sindaco di Pagani assassinato dalla camorra l’11 dicembre del 1980. Forse non se l’aspettavano, ma dopo che un anno fa hanno tolto il nome di Marcello Torre alla piazza principale di Pagani dopo averlo solennemente deliberato, di certo non potevano aspettarsi anche tappeti di fiori da parte di Lucia e Annamaria Torre, moglie e figlia di Marcello. Era arrivato anche il Presidente della Regione Campania, Stefano Caldoro, ad inaugurare solennemente la piazza intitolata a Marcello Torre. E anche lui è rimasto interdetto dalla scelta degli amministratori paganesi di revocare quello che solo pochi giorni prima era stato fatto. Tra l’altro i familiari di Marcello Torre avevano appreso della revoca della piazza solo attraverso la lettura dei giornali.

E poi c’è anche un altro precedente. L’inaugurazione del busto dedicato a Marcello Torre che doveva essere apposto all’ingresso del Cimitero ma, ancora una volta, l’amministrazione comunale è venuta meno. E così la famiglia Torre, senza alimentare ulteriori polemiche, ha inaugurato il busto,  realizzato dall’artista Stefano Rossi, all'interno della cappella gentilizia Contaldi-Torre. Ora da parte dei congiunti di Marcello Torre, nessuna dichiarazione ufficiale in merito a questa vicenda, ma la scelta di non avere più a che fare con amministratori che  non hanno il coraggio di scelte limpide, era già palese. E dunque appare fuori luogo il comunicato emesso dal sindaco facente funzioni di Pagani, Fabio Petrelli, nel quale, tra l’altro, si dice: “Per me, per l’amministrazione comunale e per l’intera città di Pagani, è stato un dovere civico, oltre che emotivamente partecipato, commemorare, nella ricorrenza dei defunti, il Sindaco Marcello Torre, uno dei figli migliori della città (…) Le polemiche non mi interessano. Restano a chi le alimenta. Restano ad un mondo dei “vivi” che, troppo spesso, si arrocca su posizioni sterili e strumentali.” Dove quei “vivi” tra virgolette assume anche un significato sinistro.  Quanto è lontana la “Pagani libera e civile” invocata da Marcello Torre.


giovedì 3 novembre 2011

GIUSEPPE SALVIA, UNA TARGA A CAPRI PER RICORDARE "UN BRAV'UOMO DIVENTATO EROE"

Una targa in onore di  Giuseppe Salvia, vittima della camorra sanguinaria di Raffaele Cutolo. Sarà scoperta lunedì 7 novembre a cura dall'amministrazione comunale di Capri in ricordo del proprio concittadino che, da vice direttore del carcere di Poggioreale, fu ucciso in un agguato camorristico il 14 aprile del 1981. La sua condanna a morte fu “decretata” dopo aver perquisito il boss Raffaele Cutolo che ritornava da un processo al tribunale di Napoli. Il regolamento vuole che i detenuti vengano perquisiti per evitare l’introduzione di armi o altre cose non permesse.  Cutolo all’epoca era il re delle carceri. Nessuno osava sfidarlo. Lo fece Giuseppe Salvia perché le guardie carcerarie non ebbero il coraggio di perquisirlo. Quel gesto così semplice e così normale in altri contesti, invece, aveva un significato simbolico importante: Metteva in discussione l’autorità di Cutolo nel carcere. Per questo il boss di Ottaviano tentò di schiaffeggiare Giuseppe Salvia davanti a tutti per impedirgli la perquisizione. Ma il vice direttore del carcere non si tirò indietro, nonostante le palesi minacce. La perquisizione la effettuò personalmente. Lo Stato non poteva indietreggiare davanti ad un camorrista. Quella fu anche la sua condanna a morte. Giuseppe Salvia fu ammazzato sulla tangenziale di Napoli, allo svincolo dell’Arenella, il 14 aprile del 1981,  da un commando di sei uomini legati a Cutolo. Quel giorno, come sempre, stava tornando a casa dove lo aspettava la moglie, Pina e i due figlioletti, Antonino e Claudio. Ma a casa non ci è arrivato mai più.

La targa sarà apposta sulla facciata della scuola elementare di Tiberio, il plesso scolastico che si trova nella zona dove nacque Salvia e che dallo scorso anno porta il suo nome. Alla cerimonia presenzierà, con le autorità locali e rappresentanti delle istituzioni, il sottosegretario Alfredo Mantovano. Mantovano, dopo lo scoprimento della lapide nel teatro del Grand'hotel Quisisana, prenderà parte ad un convegno dal titolo “Giuseppe Salvia, un brav'uomo diventato eroe”.
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