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mercoledì 16 novembre 2011

SCAMBIATO PER UN BOSS. MARIO FERRILLO, IMPRESARIO TEATRALE, UCCISO A LICOLA IL 16 NOVEMBRE 1986


“Questa è una rapina”. La porta si apre all’improvviso e una voce minacciosa interrompe la tranquilla chiacchierata di Mario e Francesco nel piccolo locale a piano terra adibito a negozio di parrucchiere, proprio nella piazza Cristofaro Colombo, a Licola Mare, sul litorale domizio. E’ il tardo pomeriggio del 16 novembre 1986. Entrano due ragazzi incappucciati e armati di pistole.  Dentro ci sono Francesco  Sepe, il titolare, e Mario Ferrillo, un impresario teatrale, che ha accompagnato la moglie a farsi i capelli e che era uscita solo pochi attimi prima dal negozio. “Sei tu Gennaro?”, grida in faccia a Mario il giovane che è entrato per primo, mentre gli punta la pistola al viso. Mario si alza in piedi impietrito. Non riesce a dire una parola. Per lui è una situazione inaspettata, mai vissuta prima. Ma anche se avesse voluto rispondere, non gli lasciano il tempo di farlo. Parla per prima la pistola: Otto colpi in rapida successione partono in direzione di Mario Ferrillo. Vanno tutti a segno. Cade a terra. Un tonfo sordo. Ha gli occhi sbarrati. Muore subito. Dal corpo comincia a scorrere sul pavimento sangue vivo. Il parrucchiere, invece, ha la prontezza di nascondersi sotto un tavolo. Ma sa che anche per lui non ci sarò scampo. Cerca un riparo. Svicola carponi nel bagno. Da un momento all’altro aspetta di udire i colpi di pistola che stavolta sono destinati a lui. Sono attimi interminabili. Vuole gridare, ma non riesce a farlo. La paura  gli blocca la voce. Sente il cuore battere come un tamburo. Ecco, sono dietro… si avvicinano… stanno per sparare… Il parrucchiere è quasi morto dalla paura, aspetta solo di sentire il rumore dei colpi di pistola che lo finiranno. Ma non accade niente. I due giovani fuggono di corsa dal locale. Quando si rende conto che i giovani sono spariti, esce dal bagno e comincia a gridare aiuto. Guadagna l’uscita. Ma in strada non c’è proprio nessuno. La scena si consuma in meno di due minuti. Mario Ferrillo, invece, non si muove più. Resta a terra in una pozza di sangue, immobile, senza vita. Per l’impresario teatrale originario di Calvizzano, non c’è più niente da fare. Quella non era una rapina. Erano venuti per ammazzare. Una spedizione mirata. Un agguato premeditato. 

 Le prime notizie che uscirono sul delitto, accreditarono la tesi che Mario Ferrillo non avrebbe pagato tangenti alla camorra per le feste di piazza che organizzava.

 “In realtà quel giorno al posto di mio padre – dice Luigi, il figlio primogenito -  cercavano Gennaro Troise, conosciuto col  soprannome “la Tromba”.  Somigliava a mio padre in maniera impressionante”. Gennaro Troise fu ammazzato circa un mese dopo.
  
“Da quando Mario è stato ucciso - racconta la moglie, Maria Rosaria -  siamo rimasti soli con la nostra tragedia e il nostro dolore. Ma non avevo il tempo di abbattermi. Avevo quattro figli da mantenere e andavo avanti grazie al mio lavoro di inserviente in una clinica privata. Lavoravo anche con i turni di notte per portare a casa qualche soldo in più. Poi volli andare a parlare col magistrato che seguiva il caso. Volevo almeno giustizia. Ma il processo si risolse in niente. Non c’erano imputati. Il giudice chiuse tutto in pochi minuti. E io non sapevo capacitarmi. Così mi alzai e gli dissi: “Scusate ma io tengo quattro figli a casa, e a me  mio marito chi me lo ripaga? Chi me lo ridà?” Volevo giustizia, non soldi. Volevo una risposta dallo Stato. “Il giudice – rispose  – signora questa è una causa contro ignoti. Se suo marito fosse caduto da un’impalcatura o fosse morto sotto una macchina, lo Stato lo avrebbe pagato. Siccome tutto questo non è successo…” Si piegò nelle spalle e se ne andò. Come per dire “Non glielo ripaga nessuno”. Me ne andai mortificata. “Ma come?  -  dicevo tra me e me -  ma qui è morta una persona com’è che nessuno se ne interessa? Mi sembrava tutto così strano.  E’ come se fosse passata una nuvola nera. E passata,  e poi è uscito il sole. Non è successo niente. E più ci pensavo e più mi sembrava un sogno – dice  Maria Rosaria  con la  voce che diventa roca, e come se si fermasse in gola. Deglutisce per rabbia -   Come non è successo niente? Qui è morto mio marito, il padre dei miei quattro figli. Avevo quattro figli da mantenere e andavo avanti grazie al mio lavoro di inserviente in una clinica privata. Non avevo neanche i soldi per pagare il funerale. Per sotterrare mio marito ho dovuto fare il prestito sulla busta paga. Da allora nessuno più mi ha chiamata. Mio marito è come se non fosse mai esistito per gli altri. Sparito nel nulla quel giorno di novembre di tanti anni fa. 

Per gli assassini di Mario, non c’è stato nessun processo. Gli autori del delitto sono ignoti. Nonostante ciò, Maria Rosaria è serena. Come può essere serena una mamma sola, una donna rimasta vedova a 40 anni. A tratti vorrebbe piangere. Gli occhi si inumidiscono. Ma trattiene le lacrime o,  forse, non ne ha più perché le ha già versate tutte.



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