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mercoledì 28 agosto 2013

TESTIMONI DI GIUSTIZIA ASSUNTI NELLA P.A. UNA NUOVA BEFFA PER AUGUSTO DI MEO CHE FECE CONDANNARE IL KILLER DI DON DIANA

Augusto Di Meo
“Il Decreto che assume i testimoni di giustizia nella Pubblica Amministrazione? Una buona norma, ma per me sfuma anche questa possibilità di aiuto, perché lo Stato non mi ha mai riconosciuto come testimone di Giustizia”. Augusto Di Meo, il fotografo di Casal di Principe che fece condannare il killer di don Giuseppe Diana, è amareggiato e deluso, perché nonostante la sua testimonianza sia stata determinante ai fini del processo e delle condanne comminate, non è stato mai riconosciuto come “testimone di giustizia”. Ora, con l’approvazione del decreto da parte del governo di norme che prevedono l’assunzione per “chiamata diretta nominativa” e che dovrebbe riguardare circa 80 persone in tutt’Italia, Di Meo rischia di perdere un altro treno che potrebbe contribuire a rendere meno difficoltosa la sua attuale condizione lavorativa e familiare, penalizzata dai problemi derivanti della crisi economica. Augusto Di Meo ha  citato in giudizio il Ministero dell’Interno per ottenere un riconoscimento che a diciannove anni da quei fatti, non è mai arrivato.  Fu grazie al suo coraggio se gli inquirenti cominciarono da subito la caccia a colui che aveva osato profanare una chiesa con l’uccisione di un prete.  Appena dopo il delitto, Di Meo riconobbe in fotografia la persona che aveva sparato quella mattina: “Si è lui, è Giuseppe Quadrano"  disse deciso il fotografo ai carabinieri che lo interrogavano.
Dopo quella testimonianza, Augusto Di Meo,  temendo probabili ritorsioni, fu costretto a chiudere  la sua attività di fotografo a Villa di Briano. Si recò in Umbria, insieme con la moglie e i due figli piccoli, dove tentò di trasferire la propria attività di fotografo professionale, ma senza successo. “Negli anni passati in Umbria – racconta Di Meo -  ho dovuto attingere a tutti i miei risparmi per poter continuare a svolgere la mia attività anche dopo il trasferimento e  mantenere la mia famiglia. Nel frattempo ho maturato anche diversi debiti, perché lo Stato non mi ha mai fornito alcuna protezione, nè mi ha mai aiutato dal punto di vista economico”.  
 
         Di Meo, oggi 52enne,  è ritornato  da quindici anni a vivere facendo il fotografo nei suoi luoghi di origine. La moglie Silvana 55 anni,  insegna nelle scuole materne del Comune di Roma. Tutte le mattine parte da Villa di Briano da casa poco prima delle 5  e torna a sera, poco prima delle 20, con un disagio familiare non indifferente. I figli, Antonio  (laureato in ingegneria) è disoccupato. La ragazza,  Livia Rosa,  è laureata in scienze della formazione ed è anche lei disoccupata. Per di più, Di Meo si trova anche a fronteggiare un forte un debito con Equitalia dovuto proprio al fatto di non aver avuto la possibilità di far fronte a tutte le scadenze economiche perché per anni non ha potuto svolgere pienamente la propria attività.
 Augusto, intanto, continua a raccontare come sono andati i fatti quella mattina del 19 marzo del 1994. Lo fa con  centinaia di ragazzi che passano nelle “terre di don Diana”, per i campi di lavoro promossi da Libera. Per questa sua attività , il 30 novembre del 2012 gli è stato assegnato il “premio Nazionale don Giuseppe Diana”, insieme al procuratore della DDA, Federico Cafiero De Raho e al padre comboniano, Giuseppe Zanotelli.
 
Il suo legale, l’avvocato Alessandro Marrese, per ottenere il riconoscimento da parte dello Stato quale testimone di Giustizia, ha scritto una prima lettera  alla Commissione Centrale che definisce e applica le misure di protezione presso il Ministero dell’Interno,  il 6 febbraio del 2012. Ma non ha ottenuto risposta. Ho sollecitato   tre mesi dopo un nuovo intervento, ma niente. E così il 16 gennaio 2013 ha presentato un atto di citazione al tribunale di Napoli contro il Ministero dell’Interno per un giudizio che è cominciato il 13 maggio, perché Di Meo e la sua famiglia non possono essere abbandonati così.
“Il Ministero dell’Interno si è opposto con motivazioni che se conosciute pubblicamente – spiega l’avvocato Marrese -  sicuramente non invoglierebbero altre persone a testimoniare contro la criminalità organizzata”.
 
La prossima udienza del giudizio contro il Ministero dell’Interno è stata fissata per il mese di dicembre 2013.
“Non mi fermo – dice Augusto con un volto che diventa rosso dalla rabbia – aspetto giustizia. Ho ancora fiducia nello Stato anche perché so che don Diana da lassù non mi abbandonerà”.

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