Tophost
Google

mercoledì 24 luglio 2013

ALBERTO VARONE UCCISO A SESSA AURUNCA IL 24 LUGLIO 1991. A LUI E' INTITOLATO IL PRESIDIO DI LIBERA DELLA CITTA'

Il giardino della Memoria a Sessa Aurunca

Il brano è tratto dal mio libro "La bestia" editore Melampo


C’era un forte odore di finocchio selvatico quella notte. Ai bordi della strada statale ce n’era tantissimo. Erano in piena fioritura e le infiorescenze gialle non avevano ancora i frutti maturi. Un’auto, un’Opel K adett, era ferma con la parte anteriore sul lato sinistro della mezzeria della Statale Appia, in direzione di Capua, al chilometro 183+000, in località “Acqua Galena”, nel territorio del comune di Francolise, tra Teano e Sessa Aurunca. La sua corsa era finita proprio sopra un bel mucchio di finocchi selvatici. Ne crescono tanti da queste parti da maggio ad agosto. L’auto aveva la terza marcia inserita e il quadro acceso. Il freno a mano non era tirato. All’esterno, all’altezza della maniglia dello sportello di guida, un foro d’arma da fuoco e poi ancora altri fori nel poggiatesta e nel vano motore. All’interno il conducente era  ferito mortalmente. L’Opel Kadett la trovarono così alle 4,30 del mattino del  24 luglio 1991 i carabinieri della stazione di Sant’Andrea del Pizzone. Furono avvertiti da una telefonata anonima che segnalava la macchina crivellata di colpi. Il sangue schizzato dappertutto e un uomo accasciato sullo sterzo. Un corpo quasi privo di vita.  Era Alberto Varone, 49 anni, un piccolo imprenditore di Sessa Aurunca. Aveva un negozio di mobili e distribuiva giornali alle edicole dei comuni intorno a Sessa Aurunca, la sua città. Era molto conosciuto nella zona. A quell’ora era uscito proprio per andare a prendere i quotidiani al deposito di San Nicola La Strada, una cittadina alle porte di Caserta. Cinquanta chilometri  per andare e cinquanta per tornare, ogni santo giorno. Non esistevano festività, se non quelle legate al riposo dei giornalisti. Ossia la vigilia di Natale e Natale, Pasqua, il primo maggio e il 15 agosto. Partiva più o meno dal centro cittadino di Sessa Aurunca attorno alle 4,00, da un pendìo di tufo vulcanico a Sud-Ovest del vulcano spento di Roccamonfina, e faceva sempre la stessa strada: Verso Carinola, prendendo la statale appia, lambendo Francolise, Sparanise, Capua, Casagiove e prima di Caserta, arrivava a San Nicola La Strada. Paesi distanti tra loro, inframmezzati dalla campagna estesa per centinaia e centinaia di ettari  e per decine di chilometri. La vegetazione tipica delle colline, a volte rigogliosa e umida, a volte secca, su cui arriva la brezza del vicino mare della riviera domizia. Le canne, i fichi d’india, i pini. Man mano che si sale più in alto, l’ambiente cambia aspetto: i pioppi, gli ulivi, i castagni. La stessa vegetazione che migliaia di anni fa si trovarono a contrastare gli Aurunci, antico popolo di queste  terre, per trovare luoghi abitabili a ridosso del fiume Garigliano. Qui in epoca preromana costruirono le  mura ciclopiche, che racchiudevano l’originario nucleo abitato di Sessa Aurunca dove si coniava moneta prima della conquista della città da parte dei Romani nel IV secolo avanti Cristo. Un territorio incontaminato se non fosse per la centrale nucleare, ora chiusa, sorta in un'ansa del Garigliano, agli inizi degli anno ’60. La centrale venne fermata  nel 1978 per un guasto tecnico a un generatore di vapore secondario, ma i danni all’ambiente sono stati evidenti negli anni.

La strada, Alberto Varone, la conosceva a menadito. Oramai di quei chilometri, che percorreva ogni mattina, col vento, con la pioggia, con la neve o col sole,  si può dire che ricordasse tutto: il guardrail rotto, la buca quasi mai riparata appena usciva dal centro abitato, la pianta di fico a pochi chilometri da Francolise, le aziende agricole prima di arrivare a Capua. Tutti elementi di riferimento che legava all’orario. Ogni mattina ad un’ora precisa  doveva trovarsi ad un certo punto della strada. Era tutto cronometrato. Il tempo era tiranno, perché alcune edicole aprivano alle 7,00 e per quell’ora doveva essere già di ritorno coi giornali da consegnare. Un lavoro fatto di tempestività, meticolosità, professionalità. Ad ogni edicola il suo pacco. In ogni pacco c’erano i quotidiani, i settimanali, i rotocalchi mensili. Un lavoro che Alberto Varone svolgeva da anni e senza mai avere grandi problemi. Cento  chilometri alle prime luci dell’alba si fanno in fretta, se non fosse che ogni tanto, nel tratto da Sessa Aurunca a Francolise, ci sono una serie di curve e tornanti che impediscono una guida molto veloce. Soprattutto se davanti si mette un camion di quelli che portano la merce che di mattina deve arrivare sul litorale domizio o nelle città del basso Lazio, Minturno, Scauri, Formia, Gaeta, subito dopo il fiume Garigliano. Sessa Aurunca è in una posizione strategica. E’ collocata al confine Nord-Ovest della Campania e della Provincia di Caserta. E’ divisa dalla Provincia di Latina proprio dal fiume Garigliano. Lo sapevano bene i Romani che nel 313 dopo Cristo, una volta sconfitti gli Aurunci, fecero di Sessa Aurunca una loro colonia. E per la sua posizione strategica tra la Via Appia e la Via Latina diventò un centro di produzione.

  
Il presidio di Libera "A. Varone" a Maiano di Sessa Aurunca
Gli assassini lo aspettavano già da qualche ora. Per loro quella notte era passata insonne. Sapevano che sarebbe passato di lì, a bordo della sua autovettura furgonata. Sapevano che il suo era un percorso obbligato. Lo avevano seguito e avevano verificato l’ora e il punto giusto dove tendergli l’agguato. Potevano anche decidere di ucciderlo quando sarebbe andato a consegnare i giornali in una delle 26 frazioni  del territorio di Sessa Aurunca. Un territorio grande ed esteso per 163 chilometri quadrati. In pratica il primo Comune della provincia di Caserta per estensione territoriale. Ma avrebbero dovuto organizzare l’agguato non più nel cuore della notte. E questo sarebbe stato più pericoloso. Potevano esserci testimoni ingombranti. Decisero allora di eliminarlo a notte fonda. Lo avrebbero fatto a pochi chilometri fuori da Sessa Aurunca. Lo avrebbero ucciso e lasciato li. Nella macchina che lo stava attendendo c’erano almeno due persone: uno che doveva  materialmente sparare. Sicuramente un esperto di armi per colpire l’obiettivo in movimento, e l’autista. C’erano anche altri complici per l’appoggio logistico. Dovevano far sparire le armi e bruciare l’auto impiegata per l’omicidio.

Quando i carabinieri di Sant’Andrea del Pizzone trovarono l’auto con il corpo di Alberto Varone, si resero subito conto che era in fin di vita. Fu una corsa disperata verso l’Ospedale civile di Capua, il “Palasciano”. Ma quel nosocomio non era attrezzato per salvare la vita di Alberto. Alle 12,40, fu trasferito all’ospedale “Nuovo Pellegrini” di Napoli. Ma, ugualmente, non ci fu niente da fare. Nel primo pomeriggio, alle 16.35, Alberto Varone lasciava questo mondo. La missione di morte dei suoi assassini era compiuta. Dei suoi killer nessuna traccia.

venerdì 12 luglio 2013

INTITOLATA A DON PEPPE DIANA LA SALA CONSILIARE DI CASAL DI PRINCIPE



Iolanda di Tella la mamma di don Diana
“Si, ho piacere di questa manifestazione. Sono anche emozionata, ma vorrei che a mio figlio non fosse intitolato niente, perché vorrei averlo ancora qui con me”. Iolanda Di Tella la mamma di don Giuseppe Diana, ha le lacrime agli occhi. Nonostante i suoi acciacchi, è voluta essere presente alla cerimonia di intitolazione della sala consiliare del Comune di Casal di Principe che la commissione straordinaria, a cominciare dal Prefetto Silvana Riccio in testa, ha fortemente voluto. Iolanda è seduta in prima fila con a fianco i figli, Marisa ed Emilio.
La sala è piena. Lo spazio è poco per contenere tutti. Ci sono le autorità: il prefetto di Caserta, Carmela Pagano, il questore, Giuseppe Gualtieri, Il maggiore dei carabinieri, Alfonso Pannone, l’assessore regionale Daniela Nugnes, l’assessore alle politiche giovanili del Comune di Napoli, Alessandra Clemente, il magistrato Raffaello Magi, tantissime altre autorità, esponenti delle associazioni Libera, Comitato don Peppe Diana, il coordinamento per il riscatto. Imprenditori. Molti familiari delle vittime innocenti di camorra, i sacerdoti di Casal di Principe.
Il prefetto Silvana Riccio
E’ come se nessuno avesse voluto mancare a questo appuntamento che per la città è importante. Lo sottolinea innanzitutto il Commissario del Comune Silvana Riccio: “Abbiamo voluto questo momento mettendo semplicemente una targa, perché chiunque venga qui dopo di noi  dopo questa esperienza commissariale,  sappia che questa sala è intitolata a don Peppe Diana. Un sacerdote che ha detto che ognuno di noi si deve assumere la responsabilità di essere segno di contraddizione”.  
Don Tonino Palmese
“Ricordare don Peppino dando il suo nome a questa sala – ha detto Don Tonino Palmese, referente regionale di Libera -  Ci  ricorda due parole importanti: Memoria e impegno e pone  anche una responsabilità a tutti coloro che entreranno in questa sala come consiglieri comunali. Questo luogo non potrà essere più infangato dalla presenza  di criminali, ma dà anche un possibilità di conversione a tutti. Spinge ognuno di noi a fare la propria parte per poter cambiare il nostro presente, non solo per la nostra felicità, ma anche per la felicità degli altri”.
Il magistrato Donato Ceglie
“Don Peppino era un parroco che interpretava il messaggio di cristo ponendo prioritariamente nel suo impegno la mobilitazione della chiesa al centro della sua azione contro la camorra e contro le organizzazioni criminali – Il magistrato Donato Ceglie, amico di don Diana, ha voluto sottolineare l’aspetto religioso della figura del parroco ucciso dalla camorra -  Ed anche per questo, come è scritto a chiare lettere nelle pagine giudiziarie, che lui è stato ammazzato, perché simbolo di impegno per la legalità per la sua terra contro le organizzazioni criminali. Don Peppe un successo lo ha già conseguito – ha ribadito Ceglie -  queste che per decenni sono state terre di camorra, ora possiamo dire che sono le terre di don Peppe Diana”. 
Il vescovo di Aversa, Angelo Spinillo
“Don Diana era un sacerdote, ma era anche un cittadino – ha sottolineato il vescovo di Aversa, monsignor Angelo Spinillo - I cristiani da sempre si sono posti il problema di essere cittadini e come vivere da cittadini animati dalla luce della fede. Ma posso dire a ragion veduta che non può esistere un buon cristiano che non sia un onesto cittadino. L’espressione “per amore del mio popolo non tacerò” – cita il documento scritto da don Diana -  “dice come il cristiano vive il suo ruolo di cittadino con l’atteggiamento del profeta, non per predire il futuro, ma con l’atteggiamento di chi in ogni situazione va a cercare le cause più profonde e nel fare questo, tende ad orientare il cammino di ciascuno verse una metà più grande. Don Diana è stato capace di tutto ciò.”
E’ stata poi la mamma di don Diana, Iolanda,  a scoprire la targa posta all’entrata della sala consiliare alla fine della cerimonia commemorativa. Una corona di fiori è stata infine deposta sulla tomba di don Diana alla presenza delle autorità e dei familiari di don Peppe. Dopo la cerimonia è stato presentato il libro “Mafie” presso l’Università per la legalità, alla presenza degli autori, il giornalista Giuseppe Crimaldi e il magistrato della DDA, Giovanni Conzo.

mercoledì 3 luglio 2013

"DON DIANA DAY" IL 4 LUGLIO A CASAL DI PRINCIPE NEL GIORNO DEL SUO COMPLEANNO

I funerali di Don Diana
Il 4 luglio avrebbe compiuto 55 anni. Don Giuseppe Diana, il sacerdote di Casal di principe ucciso dalla camorra il 19 marzo del 1994,  verrà ricordato nel festival dell’impegno civile con il "don Diana day", una tappa a lui dedicata. La manifestazione  avrà luogo a Casal di Principe alle ore 18, in via Urano, a “casa don Diana”, un bene confiscato che da alcuni anni è inutilizzato e sarà divisa in due momenti. Nel primo, il regista Antonio Frazzi e il produttore Giannandrea Pecorelli, presenteranno la fiction su Don Peppe Diana che la società Aurora Film realizzerà per conto della Rai. La messa in onda è prevista per marzo 2014 su Rai1 in due puntate. Il ruolo del sacerdote ucciso sarà interpretato dall’attore napoletano Alessandro Preziosi. A ricordare la figura di don Diana ci saranno anche Sergio Tanzarella, docente della Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale e il vescovo di Aversa, monsignor Angelo Spinillo. La seconda parte della giornata dedicata a don Diana, invece, vedrà la consegna del Premio Nazionale “Don Peppe Diana – Per amore del mio popolo” a don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano che si sta battendo contro i roghi tossici e gli sversamenti illegali, Donato Ceglie, magistrato tra i primi ad aprire il fronte giudiziario delle ecomafie, Nasser Hidouri, imam della moschea di San Marcellino, protagonista di numerose iniziative per il dialogo interreligioso e interculturale. Menzioni speciali per Salvatore Cantone della Federazione Italiana delle Associazioni Antiracket, la professoressa  Marialuisa Corso e Tommaso Cestrone protagonista della difesa del Real Sito di Carditello. A completare la giornata dedicata a Don Peppe Diana la consegna del tazebao realizzato sulla sua figura da Antonia Positano del Liceo Artistico Suor Orsola Benincasa di Napoli, il reading tratto dallo spettacolo teatrale “Ass e Marz” una produzione Teatro Golem di Giovanni Granatina e Gina Oliva, la proiezione del video “Da terre di camorra a terre di Don Peppe Diana”.

mercoledì 26 giugno 2013

MARIO DIANA, IMPRENDITORE, UCCISO A CASAPESENNA IL 26 GIUGNO 1985

"COME NUVOLE NERE" (tratto dal capitolo "Quei 400 metri di polvere e fango") Melampo editore

«Ma perché uccidere Mario Diana? “Le motivazioni che mi ricordo – ha detto De Simone al processo – erano: uno, perché questa persona era un infame; un’altra, perché dicevano che non aveva voluto pagare la tangente, ma non potevi mai sapere quale era la verità, tu dovevi eseguire degli ordini e basta, a me non è che interessava la motivazione. Organizzammo tutto io, Quadrano e Antonio Iovine. Sapevo che lui usciva molto presto la mattina per recarsi al lavoro, lo vedemmo uscire e così lo seguimmo. Antonio Iovine era quello che guidava la macchina, Quadrano era seduto davanti con l’autista e dietro stavo io. Lui si fermò nella piazza di Casapesenna, scese e fece i primi scalini, noi lo affiancammo. Io sono sceso, gli ho sparato il primo colpo da dietro, lui è caduto sulle scale e poi gli ho sparato l’altro colpo alla tempia. Io mi sono messo in macchina un’altra volta e siamo andati via…”»
 

mercoledì 19 giugno 2013

IL CARCERE DI POGGIOREALE SARA' INTITOLATO A GIUSEPPE SALVIA, IL VICE DIRETTORE DELL'ISTITUTO UCCISO DALLA CAMORRA IL 14 APRILE 1981

 
Giuseppe Salvia
Il carcere di Poggioreale sarà intitolato a Giuseppe Salvia, il vice direttore dell’Istituto penitenziario ammazzato dalla camorra il 14 aprile del 1981. Viene resa la giusta riconoscenza ad un uomo che ebbe la dignità di non piegarsi, come facevano tutti gli altri, di fronte alle minacce del boss Raffaele Cutolo. Osò mettere in discussione la sua "autorità" all'interno del carcere pur sapendo che quel gesto gli sarebbe scostato caro. La cerimonia ufficiale avrà luogo sabato  22 giugno 2013,  in concomitanza  con la festa del corpo di polizia penitenziaria. Alla manifestazione parteciperanno i vertici del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria,  tra cui l’attuale capo, Giovanni Tamburrino e l’attuale direttore dell’Istituto, Teresa Abate.
 
Questa è la storia della sua tragica vicenda, pubblicata nel mio libro: "Al di là della notte". Ed. Tullio Pironti
------ 

«Dottò, Cutolo non si vuole far perquisire. Cosa dobbiamo fare? Sa, noi abbiamo famiglia…». Giuseppe Salvia, che del carcere di Poggioreale era il vicedirettore, non ci pensò due volte. Uscì dal suo ufficio e fece ciò che prevedeva il regolamento: la perquisizione dei detenuti che rientravano in carcere dopo aver partecipato ad un’udienza processuale. Tra le facce incredule degli agenti di polizia del carcere, cominciò lui stesso la perquisizione del boss Raffaele Cutolo, capo della Nuova Camorra Organizzata. Era il 7 novembre del 1980. Quel giorno Cutolo rientrava da una delle udienze sul processo alla Nuova Camorra Organizzata. Non si aspettava il gesto di Giuseppe Salvia.


Per lui era una sorta di sfida. Quel gesto metteva in discussione la sua autorità di boss davanti a tutti. Cutolo ebbe anche un moto di stizza e cercò di dargli uno schiaffo. Giuseppe Salvia, che era vicedirettore del carcere di Poggioreale dal 1973, conosceva i codici non scritti della malavita. Lui che il carcere aveva tentato di renderlo anche più umano, sapeva bene che quella perquisizione poteva costargli cara. Era conscio dello spessore criminale di quel detenuto, ma sentiva forte il dovere di riaffermare il potere dello Stato. E, infatti, fu la condanna a morte. Nei dodici mesi precedenti nelle carceri italiane c’erano stati ben dodici omicidi. La sera del 23 novembre 1980, quando arrivò una forte scossa di terremoto che sconvolse i comuni dell’Irpinia e della Basilicata, a Poggioreale avvenne una carneficina. Giuseppe Salvia quella sera del terremoto si recò al carcere a piedi, dopo aver messo al sicuro la sua famiglia. Tornò a casa dopo due giorni, perché volle prima assicurare una condizione di migliore vivibilità per i detenuti.


«Mio padre sapeva bene a cosa andava incontro», dice Claudio Salvia, il secondo figlio di Giuseppe, «ci furono anche svariati tentativi di corruzione, soldi fatti trovare in ufficio e telefonate minatorie, ma lui, imperterrito, ha scelto la legalità e la fedeltà per lo Stato. Lo stesso Stato che lo ha lasciato solo. Papà chiese anche al Ministero di essere trasferito perché ormai aveva capito bene che era diventato un personaggio scomodo. Il trasferimento arrivò qualche giorno dopo l’uccisione. Papà era anche sul “libro nero” delle Brigate Rosse. Questo libro venne rinvenuto in un blitz dei carabinieri e vicino al suo nome c’era il modello della sua auto con la targa (era una Fiat 128 di colore blu). Ovviamente l’auto venne fatta sparire e fu sostituita da una Ritmo».


La sua sentenza di morte, però, non tardò ad essere eseguita. Giuseppe Salvia fu ammazzato il 14 aprile del 1981 da un commando di sei uomini legati a Cutolo, sulla tangenziale di Napoli, allo svincolo dell’Arenella, mentre tornava a casa. Quel giorno il vicedirettore esce alle quattordici dal carcere. Un’ora prima del suo consueto fine turno. Sale sulla sua Fiat Ritmo e si avvia verso casa, nel quartiere dell’Arenella, dove lo sta aspettando sua moglie, Giuseppina Troianiello, trentatré anni, che aveva sposato nel luglio del 1975. Dal loro matrimonio erano nati due bambini, Antonino e Claudio, che all’epoca avevano cinque e tre anni. A casa, Giuseppe Salvia non ci arriverà mai. Fuori dal carcere i killer aspettano solo che parta. Lo seguono con due auto. Quella su cui sono i killer che lo uccideranno è una Giulietta. Giuseppe Salvia si accorge di quell’auto che lo segue e sulla tangenziale, vicino al viadotto dell’uscita dell’Arenella, improvvisa una retromarcia cercando di tamponare la Giulietta. Ma la manovra per bloccarli non riesce. Scende dall’auto e tenta di scappare. Sarà inutile. I killer scendono e sparano. Il vicedirettore di Poggioreale muore sul colpo proprio al centro delle tre corsie della tangenziale. L’auto dei killer verrà ritrovata poco dopo in una strada della zona del Vomero.



La moglie, Pina, insegnante di educazione fisica nelle scuole superiori, ai funerali dirà: «Mi hanno tolto tutto. E lo hanno tolto anche ai miei figli». Ai due figli, Pina non dirà subito la verità. Dirà che il padre aveva avuto un incidente. Gli parlerà dell’omicidio solo dopo alcuni anni. Quando saranno più grandicelli e in grado di capire che tipo di persona era il loro papà. «Dovete essere fieri di lui, perché credeva nel suo lavoro ed è morto perché era dalla parte della legalità». Al suo funerale arriveranno sessantotto corone di fiori. Le invieranno i detenuti come segno di ringraziamento nei confronti di una persona che anche in una istituzione così violenta come il carcere non aveva perso la sua umanità. Giuseppe Salvia considerava i detenuti delle persone come tutti gli altri e non carne da macello. Per l’omicidio del vicedirettore del carcere di Poggioreale vengono condannati all’ergastolo Raffaele Cutolo e la sorella Rosetta, insieme con altri due imputati, Carmine Argentato e Mario Iafulli. I giudici, inoltre, condanneranno a ventiquattro anni di reclusione Mario Incarnato, a cui vengono concesse le attenuanti generiche per la collaborazione fornita agli inquirenti, e a quattordici anni Roberto Cutolo, figlio del boss di Ottaviano.


Giuseppe Salvia era nato a Capri il 23 gennaio 1943, nella casa paterna di Palazzo Canale, secondogenito dopo la sorella Immacolata. A Capri fece le scuole dell’obbligo. Il padre Antonino e la madre Amalia D’Anchise decisero successivamente di avviarlo agli studi classici e così lo indirizzarono dai padri Barnabiti, presso il convitto Bianchi. Poi, la laurea in giurisprudenza presso l’Università degli studi di Napoli Federico II.


Dice Antonino, oggi funzionario dello stesso Ministero del padre: “Mio padre era una persona che contrastava le ingiustizie. Una persona con la schiena dritta, un vero servitore dello Stato. Credeva nella possibilità di rieducare i detenuti e perciò nel suo lavoro ha sempre fatto prevalere l’aspetto umano nel rapporto con i carcerati. Ho trovato delle cose scritte di suo pugno. Riflessioni sul mondo carcerario. Riflessioni che anche dopo molti anni sono attualissime. Papà pensava che una grande percentuale di detenuti sono solo delle persone sfortunate che da ragazzi non hanno avuto le migliori opportunità per vivere una vita diversa. Quanto mi è mancato? Le occasioni in cui ho avvertito la sua assenza ci sono state, ma non ho mai sentito la mancanza di qualcosa rispetto agli altri né ho cercato altrove un simile punto di riferimento. Ricordo con grande serenità il periodo della scuola elementare, media e superiore. Sono stati anni in cui mia madre non ha risparmiato le forze per far sì che io e mio fratello Claudio svolgessimo un regolare corso di studi e partecipassimo anche agli impegni extra scolastici, come gite, sport, i compleanni con i compagni di scuola. Ogni giorno mi rendo sempre più conto dell’immane sforzo che ha fatto mia madre. Un vero atto d’amore che l’ha portata anche alla scelta di non rifarsi una vita per dedicarsi completamente a noi figli. Mio padre mi è mancato soprattutto nei miei momenti importanti: il giorno della laurea, l’abilitazione all’esame di avvocato, il primo giorno di lavoro nella sua stessa Amministrazione… il matrimonio. Gli studi in giurisprudenza per me hanno avuto un significato speciale. Apprendere i principi giuridici fondamentali del nostro ordinamento, idealmente, mi ha avvicinato molto a mio padre perché durante gli anni universitari ho capito il senso della sua vita, del suo gesto (mi riferisco a quello di impedire favoritismi tra i detenuti ristretti nel carcere da lui diretto) e ciò in cui credeva. Ed ho anche capito perché, poi, non si è voluto tirare indietro rispetto alla scelta fatta (cioè quella di essere un ostacolo al malaffare all’interno delle mura carcerarie) affrontando con coraggio finanche uno come Cutolo. Barattare la propria vita piegandosi alle minacce ricevute significava, comunque, «morire dentro», perdere la dignità di uomo e di rappresentante dello Stato, quale lui si sentiva. Questo diceva a mia madre. Mi è bastato sapere il perché della sua morte per orientare la mia esistenza al senso di giustizia e legalità che, in concreto, non significa solo plasmare il proprio comportamento in conformità con le norme dello Stato ma anche avversare attivamente quelle situazioni illegali e vessatorie che altri tentano di imporci. Ho maturato e convertito il dolore della sua morte in qualcosa di positivo, anche da mettere a disposizione degli altri.


A Giuseppe Salvia è stata conferita dallo Stato la medaglia d’oro al valore civile.

giovedì 13 giugno 2013

L'ATTORE ALESSANDRO PREZIOSI INTERPRETA DON DIANA NELLA FICTION CHE ANDRA' IN ONDA SU RAI UNO

L’attore napoletano Alessandro Preziosi, sarà don Giuseppe Diana nella Fiction che andrà in onda su Rai1 nel ventennale dell’uccisione del sacerdote di Casal di Principe.  La conferma è venuta dallo stesso produttore dell’Aurora film, Giannandrea Pecorelli, che ieri è stato ad Aversa per incontrare il vescovo, Angelo Spinillo. Le riprese della Fiction cominceranno il prossimo 3 settembre e saranno dirette dal regista Antonio Frazzi, «La sollecitavamo da anni – dice Valerio Taglione, coordinatore del Comitato don Peppe Diana , sottolineando che  il comitato ha anche collaborato alla sceneggiatura. “La migliore risposta a prodotti negativi come la fiction su Pupetta Maresca”, aggiunge Taglione.  La fiction sarà presentata il prossimo 4 luglio, nel corso della ventitreesima tappa del Festival dell’Impegno Civile, la prima manifestazione in Italia ad essere interamente realizzata sui beni sottratti alla criminalità organizzata, promossa dal Comitato Don Peppe Diana e dal coordinamento provinciale di Libera Caserta «Il prossimo 4 luglio sarebbe stato il 55° compleanno di Don Peppe» afferma ancora Valerio Taglione – E per noi sarà un “Don Diana Day” durante il quale, con i protagonisti della fiction e con il Vescovo di Aversa Monsignor Spinillo, presenteremo un prodotto televisivo che, finalmente, non porterà un distorto messaggio di esaltazione dei protagonisti della storia criminale, come avvenuto in opere come il Capo dei Capi o l’ultima su Pupetta Maresca, ma restituirà al grande pubblico lo straordinario messaggio di amore e coraggio di Don Peppe. Chiedevamo da anni che fosse realizzato questo progetto, ora finalmente si sono determinate tutte le condizioni necessarie. Il Comitato Don Diana ha anche collaborato alla stesura della sceneggiatura, e Aurora Film, Antonio Frazzi e Alessandro Preziosi sono per noi garanzia di assoluta qualità». Soddisfatto anche Gianandrea Pecorelli di Aurora Film «E’ stato un percorso sofferto» afferma «per alcuni anni, anche in RAI non si è ritenuto importante dare il giusto rilievo a figure che, come Don Peppe, hanno segnato la storia recente del nostro Paese e sono d’esempio anche per i giovani. La fiction oltre che a ricordare il sacrificio di Don Diana, spero sia anche il traino per tutte le importanti iniziative che già vengono realizzate su questo territorio».

martedì 11 giugno 2013

ASS. VITTIME GEORGOFILI, GRAVIANO COLLABORI, LO SOSTERREMO FINO IN FONDO

 Mentre depone nel carcere di Rebibbia a Roma, nel corso del processo Borsellino quater nell'aula bunker di Rebibbia, Gaspare Spatuzza torna sulla strage di via dei Georgofili a Firenze: «Se uccido, come a Firenze, persone inermi siamo su un versante abnorme anche per il linguaggio mafioso». Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell'Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili, commenta in una nota: «Un linguaggio abnorme anche per la mafia - il massacro di bambini e ragazzi - ripete il boss che collabora con la giustizia, tanto abnorme che non riusciamo a capire come, dopo 20 anni ancora, si nasconda, a chi ne ha diritto, ciò che è successo a Firenze la notte del 27 Maggio 1993. Ovvero chi, oltre la mafia, ha trattato vantaggi dal massacro sotto la Torre dè Pulci». «Giuseppe Graviano lo sa e noi a lui ci appelliamo -prosegue Maggiani Chelli- collabori con la giustizia signor Graviano Giuseppe e dica al mondo chi da 20 anni tiene l'Italia in ostaggio con quel tritolo che "cosa nostra" usò a Firenze, in via dei Georgofili, per farsi abolire il 41 bis e non farsi confiscare i denari nelle banche. Abbiamo visto morire i nostri figli, ma siamo disposti a sostenerla per un suo eventuale pentimento che porti ad una collaborazione chiarificatrice. La sosterremmo fino in fondo». (Fonte: Adnkronos)
Google