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venerdì 20 luglio 2012

IN RICORDO DI ANGELO RICCARDO. QUANDO DON DIANA SCRIVEVA "BASTA CON LA DITTATURA ARMATA DELLA CAMORRA"


Me lo ricordo bene quel 21 luglio del 1991, quando fu ucciso “per caso” Angelo Riccardo. Quando per le strade di Casal di Principe e San Cipriano di Aversa si sparava senza guardare in faccia a nessuno e senza andare tanto per il sottile. Fu quella morte a scatenare la reazione di un piccolo gruppo di “resistenti” e ad osare, per la prima volta, di contrastare apertamente e pubblicamente la camorra del Clan dei Casalesi. Non fu facile.

Mi telefonò Nicola, un amico di San Cipriano di Aversa: “Hanno ucciso un’altra persona. Ma stavolta la vittima non c’entra nulla. Ci dobbiamo vedere. La gente non ne può più. Anche don Peppe Diana è d’accordo”.


Era in atto la guerra di camorra per il primato all’interno del clan dei casalesi dopo che Mario Iovine aveva fatto fuori Antonio Bardellino, in Brasile. Da una parte il gruppo Schiavone – Bidognetti, dall’altro il gruppo Caterino-De Falco. A Casal di Principe e San Cipriano di Aversa si sparava e si moriva quasi ogni giorno. Tanti ragazzi uccisi da altri ragazzi. Ogni giorno c’era la caccia all’uomo. E quel giorno il 21 luglio del 1991, Angelo Riccardo venne ucciso senza un perché. Ecco lo scarno comunicato dell’ANSA: “Un giovane di 21 anni, Angelo Riccardo, è stato colpito mortalmente questo pomeriggio a San Cipriano di Aversa (Caserta) da tre proiettili sparati da tre killer che hanno aperto il fuoco nella centrale via Roma nel tentativo di colpire il conducente di un’altra auto riuscita a sfuggire all'agguato. La vittima insieme a quattro amici (Massimiliano e Bruno Cirillo, quest'ultimo rimasto ferito di striscio al capo, Ciro Tettone e Giovanni Alfiero) stava recandosi ad una funzione religiosa di Testimoni di Geova quando è rimasto coinvolto nella sparatoria. La ''Renault 9'' condotta dal Riccardo è stata raggiunta da decine di colpi d'arma da fuoco che erano invece diretti ad un' altra auto che proprio in quel momento stava effettuando un sorpasso. I proiettili vaganti hanno ferito altri due automobilisti di passaggio, Antonio Quadrano di 21 anni che era alla guida di una Opel e Pasquale Corvino di 21 anni, quest'ultimo con precedenti penali per renitenza alla leva, che era fermo in una Fiat Uno a circa duecento metri dal luogo della sparatoria. I carabinieri di Aversa stanno indagando per scoprire quale fosse il vero obiettivo dell' agguato. A tal fine stanno controllando negli ospedali e nelle case di cura private della zona la eventuale presenza di pregiudicati rimasti feriti nelle ultime ore”.


Più tardi la precisazione l’ANSA dava per certo che la vittima dell’agguato doveva essere un’altra persona: “Angelo Riccardo é stato colpito per errore nel corso dell'agguato di San Cipriano di Aversa. Lo hanno appurato i carabinieri i quali hanno reso noto che obiettivo dell'agguato era invece un'altra auto con a bordo tre o quattro persone che è riuscita con ogni probabilità a sottrarsi alle decine di proiettili sparati dai tre killer. Angelo Riccardo, incensurato, testimone di Geova stava recandosi insieme con altri quattro seguaci della stessa comunità (i fratelli Bruno e Massimiliano Cirillo, di 23 e 21 anni, Ciro Tettone di 24 e Giovanni Alfiero di 26, questi ultimi tre rimasti illesi) ad una funzione religiosa quando sono rimasti coinvolti nella sparatoria avvenuta in via Roma…”


“Ho preparato un volantino – mi dice don Peppe Diana al telefono il giorno dopo – te lo leggo. Se sei d’accordo lo firmiamo e domenica lo diamo fuori le chiese di San Cipriano e Casal di Principe”. Il titolo era forte e significativo: “Basta con la dittatura armata della camorra”. Il Volantino fece il giro di tutte le case del circondario. Venne inviato alle più alte cariche dello Stato ed al Vescovo di Aversa. Ci fu un forte consenso.


Il Prefetto di Caserta, Corrado Catenacci, portò personalmente ai parroci di Casal di Principe un messaggio di solidarietà del Ministro dell'Interno, Vincenzo Scotti. E il 29 settembre del 1991, furono sciolti “perché condizionati dalla camorra” i consigli comunali di Casal di Principe e Casapesenna.


La causa scatenante della lunga guerra di camorra, fu l’interruzione di un summit dei vertici del clan dei casalesi da parte dei carabinieri. Era il giorno di Santa Lucia, il 13 dicembre del 1990. A quella riunione, che si svolgeva nella casa di un assessore del Comune di Casal di Principe, Gaetano Corvino, mancava uno dei pezzi da novanta del clan, Vincenzo De Falco. I sospetti di una soffiata caddero subito su di lui. Vi fu un conflitto a fuoco e furono catturati Francesco Schiavone (Sandokan), Raffaele Diana, Francesco Schiavone di Luigi, Giuseppe Russo, Salvatore Cantiello e Francesco Bidognetti. Le armi da fuoco furono utilizzate per consentire la fuga di Mario Iovine, uno dei capi storici del clan dei casalesi. Mentre accadeva tutto questo, l’assessore Corvino era in Municipio per una seduta di Giunta.

Per Vincenzo De Falco fu emessa una sentenza di morte da parte dei boss della camorra casalese. La sentenza fu eseguita a Casal di Principe il 2 febbraio del 1991. Ma quasi un mese dopo, il 6 marzo, Mario Iovine fu ucciso in Portogallo a Cascais. Ad ordinarne l’uccisione fu Nunzio De Falco, per vendicare la morte del fratello Vincenzo.

E in piena guerra tra i clan di Schiavone-Bidognetti contro i Caterino-De Falco, ad ottobre del 1991 un corteo di auto sfilò per le strade del paese. L’insolita folla di persone si mosse lentamente per le strade di San Cipriano, Casapesenna e Casal di Principe. Budelli stretti dove è già difficile passare quando si incrociano due auto. A fianco e dietro le macchine c’erano uomini armati di tutto punto. Alcuni erano seduti sui cofani delle auto. Erano circa le 18,00. I negozi, i bar, i circoli e tutti i locali pubblici abbassavano le saracinesche. La gente scappava. Le tapparelle delle finestre affacciate sulla via, si chiudevano. Le strade erano ben presto deserte. C'era il coprifuoco. Sembrava di stare nel far west. Come quando arrivavano all’improvviso i banditi sui cavalli per scorazzare nei saloon, indisturbati, per rapinare banche o ammazzare persone. Qui al posto dei cavalli c’erano le auto. Ma il clima era lo stesso. Paesi interi erano nelle mani del clan dei casalesi. La violenza, la prepotenza avanzava indisturbata. Nemmeno un poliziotto, né un carabiniere passò in quel momento, né intervenne dopo. Come quando lo sceriffo nel far west si nascondeva. Fu una dimostrazione di forza che il clan Schiavone-Bidognetti diede davanti a tutti i cittadini. Il controllo del territorio, se ancora ce ne fosse stato bisogno dimostrarlo, era pienamente nelle mani della camorra. Il corteo passò sotto le case degli esponenti del clan perdente Li provocavano, li invitavano ad uscire di casa per ammazzarli. Il tutto durò all’incirca un'ora. Per due giorni di seguito alla stessa ora ci fu il coprifuoco senza che nessuno lo avesse proclamato. Per le strade non si trovava anima viva. La Chiesa, ancora una volta, scelse di non stare in silenzio.

A Natale del 1991 i parroci della Foranìa di Casal di Principe (di cui fanno parte le parrocchie dei comuni di Casal di Principe, San Cipriano di Aversa, Casapesenna, Villa Literno, Frignano, Villa di Briano e San Marcellino) stilarono un documento con il quale invitavano il popolo a ribellarsi. Il titolo, che riprendeva un documento dei vescovi meridionali di alcuni anni prima, era simbolicamente forte: "Per amore del mio popolo". Cominciava con queste parole:


Siamo preoccupati

Assistiamo impotenti al dolore di tante famiglie che vedono i loro figli finire miseramente vittime o mandanti delle organizzazioni della camorra.

Come battezzati in Cristo, come pastori della Forania di Casal di Principe ci sentiamo investiti in pieno della nostra responsabilità di essere “segno di contraddizione.

Coscienti che come chiesa “dobbiamo educare con la parola e la testimonianza di vita alla prima beatitudine del Vangelo che é la povertà, come distacco dalla ricerca del superfluo, da ogni ambiguo compromesso o ingiusto privilegio, come servizio sino al dono di sé, come esperienza generosamente vissuta di solidarietà”.

Esprimeva un giudizio di condanna senza appello per la camorra e i suoi affiliati.

La Camorra



La Camorra oggi é una forma di terrorismo che incute paura, impone le sue leggi e tenta di diventare componente endemica nella società campana.

I camorristi impongono con la violenza, armi in pugno, regole inaccettabili: estorsioni che hanno visto le nostre zone diventare sempre più aree sussidiate, assistite senza alcuna autonoma capacità di sviluppo; tangenti al venti per cento e oltre sui lavori edili, che scoraggerebbero l’imprenditore più temerario; traffici illeciti per l’acquisto e lo spaccio delle sostanze stupefacenti il cui uso produce a schiere giovani emarginati, e manovalanza a disposizione delle organizzazioni criminali; scontri tra diverse fazioni che si abbattono come veri flagelli devastatori sulle famiglie delle nostre zone; esempi negativi per tutta la fascia adolescenziale della popolazione, veri e propri laboratori di violenza e del crimine organizzato.


Individuava nella politica le responsabilità di una corruzione e di una inefficienza che devastava tutte le istituzioni democratiche.


Precise responsabilità politiche
E’ oramai chiaro che il disfacimento delle istituzioni civili ha consentito l’infiltrazione del potere camorristico a tutti i livelli. La Camorra riempie un vuoto di potere dello Stato che nelle amministrazioni periferiche é caratterizzato da corruzione, lungaggini e favoritismi.


La Camorra rappresenta uno Stato deviante parallelo rispetto a quello ufficiale, privo però di burocrazia e d’intermediari che sono la piaga dello Stato legale. L’inefficienza delle politiche occupazionali, della sanità, ecc; non possono che creare sfiducia negli abitanti dei nostri paesi; un preoccupato senso di rischio che si va facendo più forte ogni giorno che passa, l’inadeguata tutela dei legittimi interessi e diritti dei liberi cittadini; le carenze anche della nostra azione pastorale ci devono convincere che l’Azione di tutta la Chiesa deve farsi più tagliente e meno neutrale per permettere alle parrocchie di riscoprire quegli spazi per una “ministerialità” di liberazione, di promozione umana e di servizio.


Forse le nostre comunità avranno bisogno di nuovi modelli di comportamento: certamente di realtà, di testimonianze, di esempi, per essere credibili (…)


E concludeva con un appello alla mobilitazione per ridare speranza ai cittadini:


NON UNA CONCLUSIONE: MA UN INIZIO

Appello


Le nostre “Chiese hanno, oggi, urgente bisogno di indicazioni articolate per impostare coraggiosi piani pastorali, aderenti alla nuova realtà; in particolare dovranno farsi promotrici di serie analisi sul piano culturale, politico ed economico coinvolgendo in ciò gli intellettuali finora troppo assenti da queste piaghe”


Ai preti nostri pastori e confratelli chiediamo di parlare chiaro nelle omelie ed in tutte quelle occasioni in cui si richiede una testimonianza coraggiosa;


Alla Chiesa che non rinunci al suo ruolo “profetico” affinché gli strumenti della denuncia e dell’annuncio si concretizzino nella capacità di produrre nuova coscienza nel segno della giustizia, della solidarietà, dei valori etici e civili (Lam. 3,17-26).


Tra qualche anno, non vorremmo batterci il petto colpevoli e dire con Geremia “Siamo rimasti lontani dalla pace... abbiamo dimenticato il benessere... La continua esperienza del nostro incerto vagare, in alto ed in basso,... dal nostro penoso disorientamento circa quello che bisogna decidere e fare... sono come essenzio e veleno”.


Per la prima volta la Chiesa parlava un linguaggio chiaro, netto, immediato, capace di arrivare subito al cuore del problema. Il documento fu distribuito nelle chiese. Furono soprattutto i giovani dell'azione cattolica ad impegnarsi per la sua diffusione. Il consenso riscontrato tra cittadini di Casal di Principe e dei comuni limitrofi fu straordinario. La voce della protesta varcò i confini dei paesi dov’era nata. Don Peppino Diana cominciò a girare per le scuole della provincia e della regione. Cominciò a portare la voce del suo popolo alle marce anticamorra. Diventò un simbolo riconosciuto da quanti volevano combattere la camorra.


Di Angelo Riccardo e dei suoi familiari si erano “perse le tracce”. Nel senso che anche lui, come tanti altri, era caduto nel dimenticatoio. E quando dopo tanti anni la famiglia è stata contattata dal “Comitato don Peppe Diana” per dare la giusta dignità anche a quella morte, la prima reazione, come avviene sempre in questi casi, è stata di fastidio e di incredulità. Poi, anche la famiglia di Angelo ha deciso che è giusto fare memoria del proprio congiunto e di ricordarlo ai ragazzi delle scuole perché queste cose non accadano mai più.

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