Una lapide con il nome e la foto di Rita Atria - la
giovane siciliana suicidatasi vent'anni fa a Roma, una settimana dopo la strage
di via D'Amelio - sarà deposta nel pomeriggio di giovedì 26 luglio nella tomba
del cimitero di Partanna, dove è sepolta, alla presenza del vescovo di Mazara
del Vallo, Domenico Mogavero, e di don Luigi Ciotti, presidente di Libera. Oggi
su quella tomba non c'è neppure impresso il suo nome: la lapide fu distrutta
dalla mamma di Rita, Giovanna Cannova, e mai più ricollocata. Cognata di Piera
Aiello (pure lei testimone di giustizia), Rita Atria, a 11 anni, perde il padre,
Vito, ucciso durante una guerra di mafia. Cinque anni dopo uccidono anche suo
fratello, Nicola (marito di Piera Aiello). Ed è in quell'occasione che le due
cognate decidono di collaborare con la giustizia, raccontando i segreti carpiti
tra le mura domestiche. Si affidano a Paolo Borsellino, che vedono come un
«padre». «Ora che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato
nella mia vita - scrive Rita nel suo diario -. Tutti hanno paura ma io l'unica
cosa di cui ho paura è che lo Stato mafioso vincerà e quei poveri scemi che
combattono contro i mulini a vento saranno uccisi. Prima di combattere la mafia
devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro
di te, puoi combattere la mafia che c'è nel giro dei tuoi amici, la mafia siamo
noi e il nostro modo sbagliato di comportarsi. Borsellino, sei morto per ciò in
cui credevi ma io senza di te sono morta». (ANSA).
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