Rocco Chinnici aveva cinquantotto anni quando viene ucciso. E’ il 29 luglio del 1983 e per la prima volta la mafia utilizza la tecnica dell’esplosivo comandato a distanza. Una macchina imbottita di esplosivo viene fatta saltare in aria proprio davanti alla sua abitazione, a Palermo, in via Pipitone Federico. Con il Magistrato perdono la vita, investiti dall’onda d’urto, il maresciallo dei carabinieri Mario Trapassi, l’appuntato dei carabinieri Salvatore Bartolotta e il portiere dello stabile di via Pipitone Federico, Stefano Li Sacchi. “Lu prituri”, come affettuosamente veniva chiamato, era nato a Misilmeri, in provincia di Palermo, il 19 gennaio del 1925. Il suo primo incarico di magistrato lo ebbe al tribunale di Trapani nel 1952, cinque anni dopo la laurea in Giurisprudenza. Fu trasferito a Palermo nell’ufficio Istruzione del Tribunale, nel maggio del 1966, dove comincia ad occuparsi dei processi alla mafia. Nel ’79 diviene Consigliere Istruttore e inizia a dirigere da titolare l’ufficio in cui opera da tredici anni. Sono gli anni in cui cadono sotto i colpi mafiosi valenti magistrati, uomini delle forze dell’ordine, personaggi politici di primo piano, giornalisti: Pio La Torre, Piersanti Mattarella, Michele Reina, Emanuele Basile, Gaetano Costa, Cesare Terranova, Boris Giuliano, Mario Francese. Rocchi Chinnici, per la prima volta nella lotta alla mafia organizza gruppi di lavoro. Praticamente è l’inizio della nascita del pool antimafia perfezionato qualche tempo dopo da Antonino Caponnetto. Accanto a sé, Chinnici, chiama due giovani magistrati: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e valenti investigatori. La mafia aveva intuito la pericolosità di Chinnici perché cominciava a combatterla cercando di disarticolarla. Non ne ebbe il tempo. Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in un messaggio inviato alla signora Caterina Chinnici e ai familiari delle altre vittime dell'attentato, ha espresso «il saluto commosso e solidale dell'intero Paese». «Quale Consigliere istruttore del Tribunale di Palermo, Rocco Chinnici - scrive Napolitano - aveva dato forte impulso alle indagini sulla criminalità organizzata, prospettando nuove strategie investigative in grado di contrastarla efficacemente e di colpirne gli affari e i legami internazionali. Della mafia era quindi divenuto obiettivo privilegiato anche perché alla rigorosa professionalità e alla schiva 'religione del lavorò accompagnava la passione civile e la capacità di far crescere nella coscienza collettiva la consapevolezza di dover combattere il crimine senza mai indulgere ad atteggiamenti di indifferenza o tacita e comoda tolleranza. Al pari di altri magistrati e servitori dello Stato caduti per mano di mafia, Rocco Chinnici fu autentico eroe della causa della legalità e, assieme, costruttore di un più valido presidio giuridico e istituzionale di fronte alle sfide criminali».
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