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martedì 11 ottobre 2011

CIRO ROSSETTI, OPERAIO DELL'ALFA SUD, UCCISO L'11 OTTOBRE 1980

Ciro Rossetti, operaio dell'Alfa sud, venne ucciso l'11 ottobre 1980, nel corso di una sparatoria tra bande di camorristi. Quel giorno era a casa della mamma, a San Giovanni A Teduccio a guardare una partita della nazionale Italiana insieme alla sua famiglia. La storia qui pubblicata è tratta dal mio libro "Al di là della notte" ed. Tullio Pironti
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È l’11 di ottobre del 1980. Gioca la nazionale italiana di calcio con i dilettanti del Lussemburgo. È l’Italia di Bearzot che si candida a vincere i mondiali in Spagna del 1982. Ci sono molte aspettative. La partita è di quelle da non perdere. È sabato pomeriggio e tutti i tifosi dell’Italia non si lasciano scappare l’occasione. Anche Ciro Rossetti, che fa l’operaio all’Alfasud di Pomigliano d’Arco, non vuole perdere l’avvenimento sportivo. Così va a casa della mamma, Cristina Mansueto, che abita in un basso di due stanze a San Giovanni a Teduccio. «Mamma, oggi vengo a vedere la partita dell’Italia da te insieme ai miei fratelli». Ciro, trentun anni, è padre di due bambini, Gennaro di quattro anni e Cristina di un anno, avuti dal matrimonio con Antonietta Lamberti, casalinga. Parte dopo pranzo da casa sua. Abita a Barra, al Rione Bisignano. La partita di quel pomeriggio è anche l’occasione per stare insieme all’anziana madre. Ciro arrivò un’ora prima. Ci mette poco per percorrere strade che spaccano popolosi quartieri degradati. Le stesse strade che portano anche lungo il «Miglio d’oro», verso Portici, Ercolano, fino a Torre del Greco, piene di splendide ville vesuviane costruite a partire dal Settecento.

Il sabato, a quell’ora, le piccole attività industriali erano tutte chiuse. Le strade quasi deserte. Sui marciapiedi, improvvisati venditori di bandiere italiane. Ciro voleva fermarsi a comprarne una per i bambini della famiglia. Ne avrebbero avuto piacere. A guardare la partita in Tv c’è anche la sorella Michelina, con il figlio Ciro, di otto anni, e il marito Angelo. E poi un altro fratello di Ciro, Alberto. Ma tirò dritto. Non sarebbe arrivato in tempo per il fischio d’inizio. Pensò che da qualche parte a casa della mamma una bandiera della nazionale ci doveva pur essere. Quand’era più giovane ne aveva sempre una a portata di mano. Magari nessuno l’aveva buttata via. La mamma aveva promesso di preparargli un dolce per quel pomeriggio e non voleva tardare. Arrivò all’ora promessa. Alle quattro in punto cominciano gli inni nazionali. L’Italia gioca con la sua formazione migliore di quel momento. Nando Martellini, il telecronista che accompagna con la sua voce la nazionale, la scandisce, come sempre, in modo da far rabbrividire i tifosi: «Zoff, Gentile, Baresi, Oriali, Collovati, Scirea, Causio, Tardelli, Altobelli, Antognoni, Bettega». Tutti zitti, si comincia.

Si preannuncia una goleada dell’Italia. Ciro, seduto sul divano, mentre la mamma in cucina prepara un buon caffè. L’Italia gioca fuori casa e la giornata è freddissima. La partita non è molto divertente, ma al 32’ Collovati con un colpo di testa porta in vantaggio l’Italia. Ciro e tutta la famiglia esultano, si alzano in piedi, esattamente come le migliaia di italiani sugli spalti dello stadio, giunti in Lussemburgo dalla Francia, dalla Germania e dal Belgio per tifare Italia. Ed è poco dopo il gol degli azzurri che Ciro sente dei botti provenire dall’esterno dell’abitazione. «Staranno già festeggiando? Ma la partita non è finita. Chi sarà mai?», dice Ciro ai fratelli che stanno guardando la partita con lui. Allora, incuriosito, insieme al fratello Alberto esce sull’uscio per vedere cosa sta accadendo fuori. Apre la porta a vetri che guarda direttamente sulla strada. Passa in quel momento un’Alfasud con a bordo almeno tre persone. Una di quelle auto che lui probabilmente ha contribuito a costruire proprio nella sua fabbrica. Uno ha il braccio teso e sporgente fuori dall’auto dal lato anteriore destro e in mano ha una pistola. Da quella pistola partono diversi colpi a distanza di pochi secondi l’uno dall’altro. Ciro non avrà nemmeno il tempo di accorgersi che quelli che ha sentito non sono botti per festeggiare la nazionale, ma colpi di arma da fuoco. «All’epoca a Napoli era in atto una guerra tra clan camorristici per il controllo del contrabbando di sigarette», racconta Giacomo Lamberti, il cognato di Ciro. «Come poi fu appurato, nel quartiere dove risiedeva la famiglia di mio cognato, era in atto una caccia all’uomo. Un gruppo di malviventi inseguiva un pregiudicato, Ciro Sorrentino, che doveva essere ucciso dai rivali. Durante la gara tra l’Italia e il Lussemburgo si cominciarono a sentire degli spari. Ciro Rossetti ebbe la sventura di affacciarsi sull’uscio di casa e fu colpito da un proiettile all’occhio sinistro. Morì poco dopo».

Le grida di disperazione di tutta la famiglia si odono presto per tutto il quartiere. Il dramma si consuma davanti alla mamma e ai fratelli che assistono increduli a quello che è accaduto al congiunto che poco prima esultava per il gol dell’Italia. È il fratello Alberto ad accompagnarlo all’ospedale. A fatica il corpo di Ciro viene caricato sull’auto che partirà a tutta velocità. Ma la corsa sarà vana. Il proiettile che lo ha colpito all’occhio sinistro è stato mortale. Ciro muore al Loreto Mare. Quel giorno il cognato Giacomo Lamberti riceve una telefonata dalla mamma: «Corri, vai all’ospedale, è successo qualcosa a Ciro, il marito di Antonietta. Abbiamo ricevuto una telefonata, ma non sappiamo bene cosa è successo». Giacomo parte e va. Arriva di corsa in ospedale dove Alberto lo informa dell’accaduto. Ciro, intanto, non ce l’ha fatta. Ormai è morto. Una morte che davvero non ha un senso, non ha una ragione. La vita stroncata di un ragazzo che ha davanti a sé ancora i migliori anni da vivere, diventa una cosa assurda per i familiari che non lo rivedranno mai più. Per i figli che non avranno un padre, per una moglie che non gli potrà più parlare, per una mamma che non avrà più il frutto della sua carne.

A Giacomo tocca il triste compito di informare la famiglia che Ciro non tornerà più a casa dai suoi figli. Nel frattempo, a casa della mamma di Ciro Rossetti la televisione è ancora accesa. L’Italia continua a giocare. Nella disperazione nessuno più la guarda e nessuno ha avuto la briga di spegnerla. Hanno solo abbassato il volume. È il secondo tempo. Siamo al 32’, stesso minuto del primo tempo. Segna Bettega. Italia 2, Lussemburgo zero. Nessuno se ne accorge. Nessuno esulta. Non c’è più gioia in quella casa. È morto Ciro. Un giovane operaio dell’Alfasud.

Quella sparatoria fu ricostruita nei minimi dettagli dalle forze dell’ordine alcune settimane dopo. Ad affrontarsi erano in sei per regolare un conto in sospeso a colpi di pistola. Tre da una parte (Carmine Orso, Gennaro Limatola e Salvatore Piccolo) e tre dall’altra (Ciro Sorrentino, Luigi D’Alessandro e un altro non ancora identificato all’epoca). Ciro Sorrentino, che doveva essere ucciso, fu ferito gravemente e arrivò al Loreto Mare trasportato da un’ambulanza, un’ora dopo l’arrivo di Ciro Rossetti.

Il colpo mortale che raggiunse Ciro Rossetti sarebbe partito proprio dal gruppo che spalleggiava Ciro Sorrentino. Quest’ultimo fu arrestato in ospedale con l’accusa di omicidio pluriaggravato. «La morte di Ciro è stata un dramma», dice ancora il cognato, Giacomo Lamberti, «sia perché è finita una vita così giovane in maniera ingiusta, dolorosa, straziante, sia perché ha reso vittime della camorra anche quelli che sono rimasti. Casi come questo lasciano completamente sola una famiglia. Ciro era l’unico sostentamento economico per i suoi cari. Lasciare una famiglia con figli piccoli senza i soldi per vivere rende soli, isolati, vittime anche loro». Giacomo cercò in tutti i modi di far assumere Antonietta, la moglie di Ciro, all’Alfasud al posto del marito. All’epoca l’Alfasud aveva circa 16.000 dipendenti. Un tentativo che andò a vuoto per l’insensibilità della dirigenza dell’Azienda. Quello di Ciro Rossetti era il 93° omicidio di camorra del 1980. La notizia della sua morte ebbe solo piccoli spazi nelle cronache dei giornali locali. Antonietta, rimasta sola con i due figli, si ritrovò accanto unicamente la sua famiglia. L’unica a dargli tutto l’aiuto necessario, anche psicologico, per andare avanti e sopportare che il suo Ciro ora lo poteva incontrare solo in una tomba al cimitero.

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