Miei cari,
Quella
mattina dell’11 dicembre me la ricordo bene. Erano da poco passate le sette. Mi
stavano aspettando fuori il cancello. Me la dovevano far pagare. Non ve l’ho mai
detto, anche se forse tu Lucia l’hai capito che ero stato minacciato. Presi il
caffè dal nostro giardiniere, come facevo ogni mattina, in attesa dell’auto dei
vigili urbani che mi avrebbe portato in Comune. Arrivò anche Franco, il mio
collaboratore. Preferii farmi accompagnare da lui. Ma non ci diedero il tempo di uscire dal
vialetto. Erano in due e col volto
coperto. Prima un colpo di lupara e poi altri colpi di pistola. Non so quanti ne
furono sparati. Ma ogni colpo che penetrava dentro la carne, scavava come un
trapano. Faceva freddo, ma io sentivo
caldo in tutto il corpo. Facevo fatica a respirare. Poi, all’improvviso, sentii
un silenzio totale. Né rumori, né urla, né frastuoni. E non sentivo nemmeno più
il dolore. Le ferite erano scomparse e
riuscivo a vedere il mio corpo nell’auto, dall’alto. Stavo abbandonando il mio
corpo sulla terra per andare in un’altra vita. Partivo per un luogo dove non si
fa più ritorno. Ora sono proprio in un
bel posto. Qui il giorno e la notte non esistono. Non esiste il tempo. Si
sentono solo voci di bambini che giocano felici. Si sente il profumo dei fiori
d’arancio e dei gelsomini. Ci sono donne
che tengono in braccio i figli e raccontano loro le favole. Si odono canti molto
belli di fanciulle dai volti angelici. E c’è una luce molto forte e molto dolce che avvolge tutto lo spazio di
questo luogo.
Oh, Lucia, Lucia. Mia dolce e amata consorte, lo so
che in questi anni hai versato tutte le lacrime che avevi. Ma sei stata forte
nonostante le avversità. Ti ho sentita piangere molte volte di notte,
quando i bambini già dormivano. Ti ho
visto imprecare contro la vita che ti aveva riservato un sorte che non volevi.
Sono venuto spesso in punta di piedi in quei momenti. Ero con te, credimi, per
non farti sentire persa, abbandonata, umiliata. E ti sarò sempre vicino fin
quando non arriverà il momento di raggiungermi.
E tu, Annamaria, così fragile e generosa, mai doma
e sempre pronta a reagire, sappi che non mi hai mai deluso. Sono fiero e orgoglioso di
te.
Ho
saputo anche di quello che è accaduto per l’intitolazione della strada e di
tanti altri fatti che sono avvenuti nella mia Pagani. Ne ho sofferto. Anche io
mi sono sentito deluso e abbandonato. E’
come se mi avessero ucciso di nuovo. Per fortuna tanta gente si è indignata,
arrabbiata e ha avuto anche il coraggio
di reagire. E voi tra loro. Voglio dirvi, però, di non piangere per me, perché qui sono felice.
Siate sempre degni del
mio sacrificio e non smettete mai di lottare per la verità e la
giustizia.
Ah,
dimenticavo, Giuseppe è con me. Vi chiede scusa, ma ora è sereno e chiede anche
a voi di rasserenarvi. L’11 dicembre Giuseppe sarà ad aspettarvi nel giardino
degli aranci, sotto l’albero di loto.
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