La vita dell’avvocato Cappuccio fu spenta da un killer della camorra la sera del 13 settembre del 1978 in una strada di Ottaviano.
«Quel pomeriggio - racconta la moglie Maria Grazia Iannitti - partimmo dalla nostra casa di Napoli per andare a Ottaviano dove mio marito aveva il suo studio di avvocato. Pasquale ricopriva anche la carica di consigliere comunale di minoranza, perciò era spesso tra i suoi concittadini, per raccogliere suggerimenti, lamentele, per rappresentare le loro istanze nel consiglio comunale. Lui era così, da vecchio militante socialista, la politica la faceva tra la gente. Io avevo lo studio notarile a Poggiomarino, poco distante. Ci lasciammo con l’intesa che in serata, dopo il lavoro, lo avrei raggiunto o a casa della sorella o nel circolo Scudieri dove lui era socio e si tratteneva di tanto in tanto».
L’avvocato Cappuccio era uno dei consiglieri che più contrastava l’assegnazione di appalti a Pasquale Cutolo, fratello del capo della Nuova Camorra Organizzata, Raffaele. Anni difficili, quelli. La camorra si ramificava. Estendeva la sua rete di controllo sociale sulla vita pubblica. Erano in pochi quelli che non si piegavano a questo disegno. Chi non cedeva veniva ridotto al silenzio, in un modo o nell’altro. L’avvocato Cappuccio denunciò fortemente le collusioni della politica con la criminalità. Il sindaco di Ottaviano era Salvatore La Marca, ex assessore provinciale, tra i più votati in Italia. Era iscritto al Partito socialdemocratico. Poi ne venne espulso. Difficile fare il consigliere comunale di opposizione in quel periodo. Si rischiava la vita. Ma Pasquale Cappuccio, forse, non se ne era reso ancora conto. Oppure ne era cosciente e aveva deciso di non fare passi indietro rispetto alle sue convinzioni.
«Percorsi alcune centinaia di metri», riprende a raccontare Maria Grazia Iannitti, «sulla nostra destra ci ha affiancato una Fiat 128 blu, con due giovani a bordo. Ci hanno fissato per alcuni istanti e poi ci hanno sorpassato. Erano a viso scoperto. Ricordo che il conducente aveva i capelli un po’ lunghi e arruffati, senza barba e senza baffi. Dopo aver fatto alcune centinaia di metri, ho rivisto la stessa auto che ha messo un segnale luminoso a sinistra e ci ha tagliato la strada. È stato in quel momento che dallo sportello anteriore, a fianco dell’autista, è sceso un giovane con una tuta da meccanico e con stivaletti di colore scuro. Portava degli occhiali bianchi come quelli di un saldatore o di un motociclista. Si è diretto verso il lato di mio marito che aveva il finestrino chiuso, come per chiedergli un’informazione. Ma ha cominciato subito a sparare. Tre o quattro colpi. Il vetro del finestrino è andato in frantumi. Poi ancora altri colpi. Sono stati attimi concitati», torna indietro con la memoria di trent’anni la signora Cappuccio. Uno sforzo che le costa sofferenza. «Io e mio marito non abbiamo avuto nemmeno il tempo di renderci conto di cosa stesse accadendo. Mi ero girata istintivamente e Pasquale, colpito ripetutamente, ha girato la sua guancia sinistra sulla mia spalla sinistra. Non ricordo quanti erano a sparare, ma ho avuto l’impressione che dovevano essere più d’uno. Sono stata con il corpo di mio marito sulle spalle per circa cinque minuti. Fino a quando qualcuno non mi ha tirato fuori dall’auto e mi ha portato in ospedale a Napoli. Erano persone che non conoscevo».
L’avvocato Cappuccio morirà all’istante. La moglie sarà ferita lievemente. Le indagini verranno affidate al pretore Antonio Morgigni. Cercheranno di accoppare anche lui. «Dopo tanti anni, però, non c’è alcuna condanna», è il giudizio amaro di Maria Grazia Iannitti. «I mandanti sono stati prosciolti in appello. E gli esecutori materiali non si conoscono. Una sola cosa resta certa insieme al fatto che Pasquale non c’è più: il nostro dolore».
Storia tratta dal mio libro: “Al di là della notte” – Ed. Tullio Pironti
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