Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in occasione del 29° anniversario dell'agguato mafioso di via Carini a Palermo, nel quale persero la vita il prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e l'agente di scorta Domenico Russo, ha inviato al prefetto di Palermo, Umberto Postiglione, un messaggio nel quale ricorda con immutata emozione come «quel giorno, la mafia volle la morte di un servitore dello Stato che con coraggio e rigore aveva combattuto ogni forma di violenza e illegalità costituendo essenziale punto di riferimento per la intera comunità nazionale e per coloro che avevano potuto apprezzarne quotidianamente la ferrea determinazione e la capacità nell'individuare metodi di indagine nuovi ed efficaci». «Con il suo assassinio -si legge ancora nel messaggio- la delinquenza organizzata cercò di minare la credibilità delle istituzioni e di innescare la folle fase della sua strategia criminale tesa a sovvertire il nostro ordinamento. All'assassinio seguirono invece un'intensa azione di contrasto del fenomeno mafioso e quella mobilitazione della coscienza civile che egli aveva auspicato fin dal suo arrivo a Palermo, ritenendola indispensabile per sostenere l'impegno delle forze dell'ordine e della magistratura». «Il ricordo del sacrificio del generale Dalla Chiesa permane vivo nella memoria di tutti e a tutti impone una continua vigilanza contro le persistenti forme di infiltrazione della criminalità e il rafforzamento della cultura del rispetto delle regole contro ogni forma di violenza e sopraffazione. In questo spirito e interpretando il pensiero di tutti gli italiani -conclude Napolitano- rinnovo ai famigliari del generale Dalla Chiesa, della sua gentile consorte e dell'agente Russo, il mio commosso omaggio e la mia solidale vicinanza».
«Dalla Chiesa capì che Cosa nostra aveva raggiungo un livello altissimo di collusioni con pezzi delle istituzioni, della politica e dell'economia». Lo ha detto il senatore del Pd Giuseppe Lumia, componente della Commissione antimafia. «Pertanto pensò - aggiunge - ad una strategia complessiva di lotta alla mafia: la repressione, l'aggressione ai patrimoni, la rottura del sistema di collusioni, la promozione dei diritti e dello sviluppo. Purtroppo non solo non è stato messo nelle condizioni di fare tutto questo, ma è stato tradito dallo Stato». «La sua eredità è ancora attualissima, anche perché in questi decenni - osserva - non è stata fatta pienamente propria dalla politica. Il modo migliore di commemorarlo è quello di fare memoria attiva dei suoi insegnamenti con leggi, strumenti e risorse per liberare il Paese da questo cancro maledetto».
Fonte: ANSA
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